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Il commercio di animali esotici che favorisce le specie invasive

Il commercio di animali esotici può essere la causa della comparsa di specie invasive, ma non solo: queste specie sono “preferite” dal commercio, oltre 7 volte più frequenti tra quelle commerciate rispetto al pool generale.

Tra i problemi posti dal commercio delle specie esotiche come pet vi sono quelli ambientali, sia in termini di conservazione delle specie sia in termini di invasioni biologiche. E queste ultime, a loro volta, pongono problemi sanitari, all’agricoltura e alla conservazione della biodiversità, perché il successo delle specie aliene va spesso a scapito delle specie native. Ma, si chiedono gli autori di uno studio recentemente pubblicato su PNAS, quanto sono legate le specie commerciate come pet a quelle invasive? E soprattutto, il legame nasce dal fatto che le specie commerciate come pet hanno maggiori opportunità di diventare invasive oppure perché hanno un maggior successo commerciale?

Il commercio come pet e le invasioni biologiche

Il commercio di specie esotiche è un mercato ricchissimo, multimiliardario, e in crescita. Comprende piante e animali e, tra questi ultimi, moltissime specie sono commerciate come pet o animali “ornamentali” (come può avvenire per alcuni pesci nell’acquariologia). Se da una parte il commercio può mettere a rischio la conservazione delle specie, dall’altra ha anche l’effetto di contribuire alla diffusione di specie aliene invasive.

Per fare un esempio tra molti, la popolazione del pitone delle rocce birmano, una specie nativa del Sud-est asiatico, è cresciuta enormemente a partire dall’inizio del 2000 causando seri danni alla biodiversità locale, anche perché tra le specie di cui si nutre ve ne è alcune già a rischio di estinzione come il Neotoma floridana smalli, un piccolo roditore classificato come in pericolo dalla IUCN. L’ International & Executive Programs at the UC Berkeley Rausser College of Natural Resources riporta che tra il 1996 e il 2006 ne sono stati importati negli Stati Uniti quasi 100.000 esemplari, e che si pensa che la popolazione sia crescita in natura a seguito sia dei rilasci volontari sia delle fughe accidentali.

Da noi, i casi più noti di specie che, commerciate come pet e poi diventati “invasori” di successo, sono quelli della tartaruga dalle orecchie rosse, che compete con la nostrana tartaruga palustre europea, e quello dei parrocchetti, che possono danneggiare le colture e competere con altre specie come uccelli e pipistrelli. Ma ci sono anche casi di specie invasive meno famose, come il procione, per il quale il Piano nazionale di gestione del procione pubblicato a maggio 2020, riporta che la commercializzazione come animale da compagnia ha rappresentato la principale via d’introduzione anche in Italia fino al 1996 (quando ne sono state vietate la detenzione e la vendita).

In effetti, anche se appunto non mancano i casi in cui una specie invasiva è portata involontariamente in un nuovo areale, secondo uno studio del 2017, a livello globale i vertebrati arrivati a causa del commercio come pet sono oltre la metà delle specie invasive.

Specie invasive e commercio: quale legame?

Tuttavia, finora non è stato chiaramente dimostrato se il commercio favorisca proprio le specie invasive. Per approfondire la questione, gli autori del lavoro pubblicato su PNAS, due ricercatori del Dipartimento di Ecologia ed Evoluzione dell’Università di Losanna, hanno innanzitutto condotto una meta-analisi su 7.522 specie di vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci) commerciate come pet, mostrando che le specie invasive sono il 12,6% di tutte le specie commerciate. Soprattutto, le specie invasive sono ampiamente sovra-rappresentate nel commercio: sono, infatti, oltre sette volte più frequenti nel dataset delle specie commerciate rispetto al pool generale.

Ma, scrivono gli autori, questo potrebbe dipendere da due ragioni, non mutualmente esclusive: da una parte, le specie invasive potrebbero essere sovra-rappresentate nel commercio semplicemente perché, nel tempo, hanno avuto maggiori opportunità di diventare tali; dall’altra, il commercio potrebbe favorire proprio le specie più invasive. Tuttavia, chiarire la questione lavorando sui vertebrati non è semplice, proprio perché sono interessati dal commercio da decine e a volte centinaia di anni. Quindi, i ricercatori si sono concentrato sulle formiche.

Le formiche come pet. E come modello di studio

Perché proprio le formiche? Di questi insetti, ben 255 specie sono diventate invasive a partire dall’Ottocento circa, trasportate involontariamente sulle rotte commerciali umane. Ma l’aspetto interessante, ai fini di questa ricerca, è stato il poco noto fatto che, a partire dagli anni Duemila, anche le formiche hanno cominciato a essere interessate dal commercio a livello globale. Ed è improbabile che questi animali abbiano già dato origine a invasioni biologiche, dal momento che, scrivono gli autori, in media ci vogliono una o più decine d’anni prima che una specie si stabilisca con successo in un nuovo areale. Quindi, se anche tra le specie di formiche commerciate come pet si osserva una sovra-rappresentazione di specie invasive, è lecito concludere che sia il commercio a preferirle.

I ricercatori hanno quindi analizzato il commercio via internet di formiche. Ciò che hanno osservato, oltre a un mercato in crescita che coinvolge 520 specie tra il 2002 e il 2017, è che le invasive sono oltre 6 volte più presenti nel commercio rispetto al pool totale e sono vendute da quasi il doppio dei commercianti rispetto alle specie non invasive. Questo risultato, scrivono i ricercatori, suggerisce quindi che in effetti le specie invasive siano specificamente favorite dal commercio.

Insomma, le invasioni biologiche non sono solo un risultato del commercio ma anche un elemento che può starne alla base. Questo fenomeno, unito all’aumento della domanda per le specie esotiche e al commercio via internet, può risultare in un’accelerazione delle invasioni e alla comparsa di nuove specie invasive, per cui rafforza ulteriormente la necessità di maggiori regolamentazioni e consapevolezza sul commercio degli animali esotici. Come commenta su Forbes Jérôme Gippet, primo autore dello studio, «Penso che noi tutti dovremmo considerare un animale esotico come potenziale invasore biologico che può causare molti danni agli ecosistemi e alle persone se scappa o è rilasciato nell’ambiente, perché i pet possono diventare invasivi, ma anche il contrario sembra essere vero».


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Photo by Sumeet Mishra on Unsplash

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.