SALUTE

Covid-19 e disturbi psichiatrici

Crescono le richieste di supporto psicologico dopo la pandemia

Francesca è una ragazza ventottenne bipolare che ha accettato di raccontarmi la sua storia.

Mi ha spiegato che durante il primo lockdown il suo disturbo non era ancora stato diagnosticato. Assumeva, sì, una terapia farmacologica, ma non era quella ottimale per contrastare la patologia da cui è affetta.

“Paradossalmente, sebbene fossi rinchiusa in casa, ricordo quel periodo quasi con nostalgia. Mi trovavo in una fase di transizione verso lo stadio maniacale della malattia. Essendo tendenzialmente predisposta verso stati di profonda depressione, ritrovare tutta quell’energia, tutta quella capacità di provare piacere anche nelle piccole cose, mi eccitava. Vivevo di notte e dormivo di giorno. Mangiavo e bevevo in maniera sregolata. Mi ero creata un piccolo universo edonistico in cui mi trovavo a mio agio”.

Il bipolare, infatti, si trova nella condizione di oscillare fra stati di profonda depressione ad altri in cui il tono dell’umore è eccessivamente elevato. Questo secondo stadio, chiamato “maniacale”, è fondamentale per distinguere la persona bipolare da una che soffre di disturbo depressivo maggiore. In questa fase la persona si sente piena di energie, capace di affrontare qualsiasi ostacolo, fino ad arrivare a sviluppare, nei casi più gravi, manie di grandezza o deliri di onnipotenza. Può arrivare a perdere il controllo, lasciandosi andare a improvvisi attacchi di rabbia, generando preoccupazione in chi lo circonda. Non è raro che un bipolare in stato maniacale acuto venga ricoverato.

La transizione dalla depressione all’euforia può essere repentina, o alternata a periodi di umore stabile. A seconda dei casi, si possono vivere fasi depressive molto intense alternate a maniacali più lievi, o viceversa. La durata di questi cicli e anch’essa molto soggettiva.

Come testimonia Francesca, chi soffre di questa patologia tende ad assumere uno stile di vita molto sregolato, cosa che però gli si ritorce contro aggravando l’intensità e la durata dei periodi depressivi.

“In tarda primavera arrivò la diagnosi. E, sul finire dell’estate, tutta quell’energia che avevo in corpo si spense. Nuovamente caddi in depressione. Ma questa volta con maggiore consapevolezza di cosa mi stesse accadendo, e con una terapia sicuramente più mirata, che, nonostante le limitazioni imposte dal COVID, sono riuscita a seguire grazie al supporto telematico di chi mi ha in cura. È stata molto dura all’inizio, ma ora posso sicuramente affermare di stare meglio”.

Sembrava che la pandemia avesse influito marginalmente sul suo rapporto con la malattia…

“Seppure vi siano casi di persone affette da disturbi psichiatrici gravi che durante la pandemia hanno visto un peggioramento della loro condizione, paradossalmente molte altre sono riuscite a gestire bene le restrizioni imposte dal lockdown, in quanto più abituate a far fronte a situazioni di abbandono e solitudine, ma anche a peggio”.

Così, il professor Andrea Fagiolini mi spiega che quello di Francesca non è un caso singolare.
Fagiolini è docente di psichiatria all’Università di Siena. Assieme a oltre ottanta fra psicologi e psichiatri, è fra i firmatari di una lettera aperta indirizzata al presidente della repubblica Sergio Mattarella, al presidente del consiglio Mario Draghi, e al ministro della salute Roberto Speranza. Nel testo viene messa in luce la necessità di rafforzare il sistema sanitario affinché sia possibile far fronte a quest’emergenza riguardante la salute mentale dei cittadini.

Ciò che emerge dalla conversazione che ho potuto intrattenere con lui è che il vero allarme è la continua crescita di richieste di aiuto da parte di persone che, per quanto sostiene il professore, non si sarebbero mai rivolte ai servizi di salute mentale in condizioni normali.

Il dottore mi illustra i dati che ha a disposizione. Si calcola che il 50% della popolazione generale ha avuto sintomi depressivi più o meno lievi dovuti alla situazione pandemica.

Il disagio psicologico ha mietuto, e sta mietendo, vittime in maniera trasversale

Già nel luglio del 2020 è stato pubblicato un importante studio su The Lancet Psychiatry che confermava questa tendenza.

L’articolo, dal titolo “Mental health before and during the COVID-19 pandemic: a longitudinal probability sample survey of the UK population”, mette in luce come nel giro di pochi mesi dalle prime misure restrittive, la salute mentale dei cittadini sia deteriorata rendendo evidente la necessità di prendere velocemente provvedimenti soprattutto nei confronti di giovani, bambini e donne.

Lo studio fa riferimento alla popolazione del Regno Unito, ma la situazione non sembra differire molto dalla nostra.

Tornando a un’analisi della situazione italiana, Fagiolini spiega come i più anziani si siano ritrovati isolati, ancor più di quanto non lo fossero prima, e nella gran parte dei casi impreparati a utilizzare le piattaforme di comunicazione che per le fasce più giovani si sono rivelate fondamentali per creare occasioni di socialità.

Gli adolescenti hanno per la maggior parte reagito all’emarginazione dai contesti per loro fondamentali con l’insorgere di attacchi di rabbia, casi di autolesionismo ed estremo conflitto con i genitori.

Importantissimo è poi il fattore socioeconomico. La perdita del lavoro, la chiusura delle attività, ma anche la sola paura nei confronti di queste eventualità, hanno creato un malessere diffuso nelle fasce adulte che, non di rado, è potuto evolvere in manifestazioni ansiose e depressive intense.

Il timore stesso di contrarre la malattia, o che questa colpisca i propri cari, ha anche giocato un ruolo fondamentale.
Queste situazioni possono agire come concause che portano allo sviluppo di gravi forme di disagio.

Si riscontra un netto aumento di sindromi “sotto soglia”, ossia l’insorgenza sintomi del tutto simili a quelli che si manifestano in presenza di un disturbo depressivo maggiore, ma con intensità significativamente più lieve. Fra questi: tristezza profonda, perdita di interesse, insonnia, stanchezza, senso di colpa.

Non è però trascurabile l’aumento di casi di depressione piena, disturbi d’ansia gravi e disturbo post-traumatico da stress

La situazione che si delinea è grave. Questa emergenza psicologica non si esaurirà col finire della pandemia. Molte persone infatti avranno bisogno di continuare a essere seguite, ma ciò risulterà molto complesso se le problematiche sollevate nella lettera firmata da Fagiolini e colleghi non verranno prese in seria considerazione.

“Nel nostro paese si riconosce il valore della salute mentale ma non il valore proporzionale rispetto ad altre malattie” afferma Fagiolini. “Abbiamo un impiego di risorse fra i più bassi tra i Paesi occidentali nel campo della salute mentale: un budget di per sé limitato anche in condizioni di normalità”.

A questo punto il professore mi spiega come in altri paesi le cose funzionino meglio, e prende ad esempio la Francia, in cui, data la situazione emergenziale, chiunque ne faccia richiesta può ricevere assistenza psicologica gratuita.

Anche in Italia esistono casi virtuosi

In Emilia-Romagna nel 2020 sono stati investiti 38 milioni di euro, ripartiti tra i territori, per la cura e la prevenzione del disagio psichico.

In questo contesto nasce l’iniziativa “Parla con noi”, coordinata dalla psicoterapeuta Mirella Errante.
Si tratta di un’iniziativa volta a offrire supporto ai cittadini della provincia di Bologna, ai pazienti del servizio di salute mentale e ai loro familiari in questo periodo di crisi.

Il servizio mette in campo diverse risorse: può contare su uno psichiatra e tre specializzandi in psichiatria, trentacinque psicologi del Dipartimento di Salute Mentale, e quindici fra familiari di pazienti del Dipartimento di Salute Mentale e volontari.

L’iter per chi richiede aiuto si apre con un primo breve contatto con uno degli psicologi del servizio. Ciò al fine di poter comprendere il disagio del paziente e individuare la linea d’intervento ottimale, che può andare dal supporto per i giovani, al contatto con reti di supporto formate da volontari e familiari di persone affette da disturbi psicologici, o nei casi più seri la presa in carico da parte di uno psicoterapeuta o da un consulente psichiatrico.

“Creare questa rete di contatti si è rivelato molto importante, si sono create relazioni di affetto e amicizia solide che si protrarranno anche una volta finita questa situazione emergenziale” afferma Errante.
La dottoressa mi mostra alcuni numeri dell’iniziativa. Ciò che inizialmente mi sorprende è il fatto che l’età media di chi ha fatto uso del servizio è di 55,4 anni, e la gran parte di questi sono over 65.

Si tratta di dati in contrasto con quanto affermato da Fagiolini e riportato in numerosi studi, fra cui quello citato in precedenza.
Errante a questo punto mi spiega come interpretare questo dato apparentemente fuori norma: “La provincia di Bologna offre molte strutture di sostegno, e i giovani, avvezzi all’uso del computer e dello smartphone, sono riusciti a trovare altri canali di aiuto. ‘Parla con noi’, invece, nonostante disponga di una pagina web, ha ricevuto gran parte delle segnalazioni via telefono, strumento con cui i più anziani si sentono a proprio agio. Un altro grande impulso alla nostra attività è stato infatti dato dai servizi televisivi sulle reti regionali, altro canale preferenziale per informare fasce di popolazione con un’età più elevata”.

“Non è stato facile capire come agire in questa situazione perché non ci sono veri e propri precedenti storici di questa portata” spiega Errante. “Sì, possiamo pensare all’epidemia di spagnola, ma erano altri tempi e c’erano sensibilità, consapevolezza e conoscenze diverse. La psicologia dell’emergenza è una branca molto importante e studiata, ma si focalizza spesso su eventi come calamità naturali, e uno strumento importante di questa disciplina sono gli interventi di comunità che nella situazione che stiamo vivendo non sono applicabili”.

Errante e Fagiolini concordano sul fatto che questa pandemia ci ha messo nella condizione di dover trovare nuovi strumenti che potranno rivelarsi utili anche in futuro. Uno su tutti: la telemedicina.

“Si è rivelata e si rivelerà utilissima. Certo il contatto umano è fondamentale, ma esistono una serie di categorie di persone che potrebbero trovare in questo un canale preferenziale. Parlo di persone con problemi di mobilità, o ansie e fobie sociali che gioverebbero dal contatto telematico. Penso al fenomeno dei ragazzi ritirati, in aumento nel nostro paese: ragazzi che si isolano dal mondo esterno e arrivano a rinchiudersi in casa fino a ritirarsi dalla scuola. Almeno in una fase preliminare, l’intervento telematico è sicuramente fondamentale” conclude Errante.

Questa pandemia ci ha posti nella condizione di riflettere sulle condizioni in cui versa la nostra società. Ha reso evidente l’incapacità delle istituzioni di effettuare una buona comunicazione del rischio, ha esacerbato conflitti e disuguaglianze sociali preesistenti e portato alla luce profonde crepe nel sistema, si pensi ad esempio all’incapacità delle strutture sanitarie nell’affrontare situazioni di crisi.

Non per ultimo ha messo moltissimi cittadini nelle condizioni di dover richiedere sostegno psicologico, facendo emergere le debolezze strutturali di un ramo della sanità italiana che si rivolge a milioni di utenti: quello per la tutela della salute mentale.

“Ho sempre avuto fin da piccola il coraggio di chiedere aiuto. Forse per l’educazione che ho ricevuto, o per la fortuna di essermi ritrovata in un contesto scolastico tutto sommato sereno” mi racconta Francesca. “Ma ho avuto modo di conoscere molte persone che si vergognano del loro malessere. Credo sia ancora molto radicato nel nostro Paese lo stigma nei confronti di coloro che si rivolgono ad uno specialista del settore: sono viste come persone deboli, vittimiste, alla ricerca di attenzioni o, nel peggiore dei casi, additate come ‘pazze’, specialmente se sottoposte a una terapia farmacologica”.

Ammesso che sia possibile vedere il bicchiere mezzo pieno in una situazione come questa, la speranza è che, all’uscita dalla crisi, vi sia una maggiore consapevolezza su due fronti: a livello culturale, del fatto che la salute mentale va tutelata e il disagio psichico trattato con maggior rispetto e serietà, a livello politico, della necessità di spendere maggiori risorse in questo campo, sia a livello infrastrutturale che di sensibilizzazione.


Leggi anche: Gli effetti del Covid-19 sul cervello

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

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Luca Papapietro
Sono fisico teorico di formazione, ho lavorato nell'ambiente dei musei scientifici e frequentato il master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Mi stanno a cuore i temi della ricerca di base e della salute mentale.