LIBRI

Pianeta oceano

Un tuffo nelle profondità marine, tra forme di vita inaspettate e habitat da proteggere

Quale stagione migliore dell’estate per fare una full immersion a tema marino? “Pianeta oceano. La nostra vita dipende dal mare, il futuro del mare dipende da noi” di Mariasole Bianco, biologa marina e divulgatrice scientifica, ci porta nelle profondità più oscure, negli habitat più peculiari, affiancando le forme di vita più curiose, per farci capire l’immensa importanza di uno dei luoghi meno conosciuti e più ignorati del Pianeta: l’oceano. Grazie all’appassionante racconto dell’autrice capiamo perché è così importante cercare di salvare la biodiversità marina, con possibili idee e soluzioni per farlo. Anche con le nostre azioni di tutti i giorni.

“L’abbiamo sempre considerato tanto vasto da ritenerlo infinito – infinito anche nella sua capacità di soddisfare i nostri bisogni – e immune dall’influenza dell’azione umana.” Purtroppo è ormai chiaro che non è così: il mare sta diventando sempre più caldo, acido e povero di ossigeno, e sta cambiando anche la sua biodiversità. Il più delle volte ci limitiamo ad ammirare la sua vastità, ma i nostri occhi non si spingono al di sotto della superficie. “Per quanto possa sembrare incredibile, abbiamo mappe più dettagliate della superficie del nostro satellite o di Marte che dei fondali oceanici; e questo non è proprio frutto del caso, ma è dovuto anche ai fondi messi a disposizione: con il budget annuale della Nasa, la Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration), l’agenzia americana per l’esplorazione dell’oceano, potrebbe portare avanti le sue ricerche per milleseicento anni!” Luna batte oceani anche in materia di affollamento: dodici persone hanno camminato sul nostro satellite, ma solo quattro – Cameron, Piccard, Walsh e Victor Vescovo – possono dire di aver calcato i fondali più profondi dell’oceano. Malgrado gli avanzamenti tecnologici impressionanti, conosciamo ancora solo il 5% dei fondali.

Mariasole Bianco ci accompagna in questo viaggio alla scoperta delle profondità, scendendo sempre più a fondo e facendoci scoprire cosa c’è e cosa invece manca: anche se prima vengono a mancare i colori e poi la luce, non significa che questi luoghi non brulichino di vita! Vita che riesce a liberarci di un po’ di carbonio, problematico ai fini dei cambiamenti climatici, e che viene fatto “sprofondare” lontano dai nostri occhi… Scopriamo poi come la bioluminescenza sia un fenomeno diffusissimo qui, e lo studio delle sostanze coinvolte sta dando importanti risultati, che vanno dallo sviluppo di antibatterici, alla produzione di medicine per combattere il cancro, fino alla possibilità di testare la presenza della vita su Marte. Rimaniamo poi ancora più stupiti dal fatto che, tra i 4000 e gli 11000 metri, “nevichi” moltissimo, e che alle maggiori profondità raggiungibili sia stato trovato un sacchetto di plastica. In un luogo ancora inesplorato, prima delle persone, erano arrivati i loro rifiuti…

Seguiamo le correnti, seguiamo le incredibili capacità di orientarsi degli animali, e, forse, anche degli umani, scopriamo montagne subacquee e, quando siamo al colmo della meraviglia, comprendiamo a pieno la portata di quello che stiamo perdendo. Ogni anno vengono catturate quasi 6 milioni di tonnellate di solo tonno, vengono vendute e mangiate circa 80 milioni di tonnellate di pescato. E, per quanto paghino lo scotto di una cattiva fama immeritata (c’è più probabilità di venire uccisi da un tappo di champagne, da una macchinetta delle merendine e persino da un selfie stick che dall’attacco di questo animale), ogni anno gli uomini uccidono più di cento milioni di squali in tutto il mondo, quasi duecento al minuto. I ricercatori hanno dimostrato che la pesca si estende almeno sul 45% dell’oceano, una superficie quasi quattro volte superiore rispetto a quella terrestre interessata dall’agricoltura. Il problema della pesca in alto mare, poi, è che si svolge al di fuori della giurisdizione nazionale dei singoli Paesi, in uno spazio, cioè, praticamente privo di regolamentazioni, rappresentando un grosso problema per la biodiversità. 

Secondo gli studi, le aree marine protette danno risultati estremamente promettenti: in Francia, nel Parco Nazionale di Port-Cros, è stato dimostrato che ogni euro investito nell’area marina protetta genera per la comunità locale un utile novantadue volte superiore, creando nuovi posti di lavoro e favorendo il settore eco-turistico. “In un’area totalmente protetta, la biomassa aumenta in media del 446 per cento, la densità, il numero di piante o animali in una determinata area, del 166 per cento, le dimensioni corporee del ventotto per cento e il numero di specie del ventuno per cento. Anche in Italia abbiamo il nostro caso di studio: nel 2001 Torre Guaceto ha imposto un divieto di cinque anni sulla pesca per ricostruire gli stock ittici, catastroficamente in calo. Dopo quattro anni di studio, la pesca artigianale è stata reintrodotta gradualmente nell’area marina protetta, monitorandone gli effetti. Oggi è concessa l’attività solo ai pescatori professionali, una volta a settimana e con reti a maglia larga. Il risultato è stato un incremento della popolazione ittica del quattocento per cento.

Eppure, anche se i benefici delle aree protette sono evidenti e dimostrati, nel mondo meno dell’otto per cento dell’oceano è protetto e solo il 2,7 per cento vede completamente vietata la pesca. “Con oltre 7,7 miliardi di persone sul pianeta, è facile pensare che qualcun altro affronterà e risolverà la situazione. Eppure è un problema che riguarda tutti noi, e come tale ognuno è responsabile, e dobbiamo lavorare insieme per un futuro sostenibile, in cui si possa godere di una buona qualità della vita senza distruggere la base del nostro sostentamento.”


Leggi anche: Ocean literacy: rendere i cittadini consapevoli dei problemi dell’oceano

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

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Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.