STRANIMONDI

Guida pratica alla costruzione di universi: VI puntata

Come popolare un pianeta?

Creare animali o in genere, esseri viventi, con cui popolare un nostro pianeta è una delle operazioni più divertenti per un creatore di mondi: ed è anche, probabilmente, una delle più complesse. E anche suggerire come dare vita a creature fantastiche e al tempo stesso credibili è piuttosto difficile. Abbiamo accennato ad alcune regole per rendere plausibile una creatura in relazione al suo habitat (dato un pianeta con determinate caratteristiche, probabilmente le sue creature svilupperanno un certo tipo di qualità) e abbiamo esaminato più da vicino il modo di lavorare di un regista in un film seminale come Avatar, ma è praticamente impossibile trattare dell’argomento in modo organico ed esaustivo in poche righe.

Un primo consiglio che ci sentiamo di dare, che è quello che si dà in ogni ambito creativo, dalla musica al cinema, dalla pubblicità alla scultura, è guardare quello che hanno fatto gli altri.

Per limitarci alla fantascienza, esistono numerosi cataloghi ed enciclopedie dove possiamo trovare la descrizione di una grande quantità di alieni.

Il punto di riferimento “storico” a livello di cataloghi cartacei per le creature aliene è la guida alle creature extraterrestri di Wayne Douglas Barlowe, un’artista che si è divertito a disegnare alcuni degli alieni più famosi della storia della letteratura, affiancando alle immagini descrizioni dettagliate (dalla fisiologia degli alieni alle opere in cui compaiono). L’avvento di internet ha consentito la creazione di vere e proprie enciclopedie e data base gratuiti da sfogliare, di cui il più famoso è probabilmente Aliensfandom. Qui sono catalogate quasi diecimila specie aliene, vengono elencate le opere (film, libri, videogiochi) in cui compaiono, quando è possibile viene data una esaustiva descrizione, spesso anche scientifica e tassonomica.

Esistono anche semplici software dedicati esclusivamente alla creazione di creature (per esempio questo).

Per quanto riguarda il fantasy, trovate qui e qui delle guide fondamentalmente speculari a quelle della fantascienza; in questo articolo si accenna al Draconomicon, manuale di Dungeons&Dragons in cui si precisa il numero di vertebre dei draghi, a sottolineare quanto, soprattutto in alcune forme di narrazione (come il gioco di ruolo), sia importante il realismo e la coerenza nella creazione di creature.

Se però non vogliamo semplicemente creare una storia, magari con un unico mostruoso villain, ma vogliamo creare un mondo (oppure anche una narrazione credibile), un buon suggerimento può essere quello di inserire le nostre creature all’interno di un ambiente, che le renda più complesse ed interessanti.

Reti trofiche, parassitismo, simbiosi e cicli vitali

Un buon esercizio per stimolare la creatività potrebbe essere quello di inserire il nostro animale in una rete trofica: creargli insomma attorno un ecosistema di animali (o altri viventi) che lo mangiano e da cui vengono mangiati.

Un’altra buona idea potrebbe essere quella di far dipendere la vita del nostro animale dalla relazione con qualcun altro, come nei casi di mutualismo, parassitismo e simbiosi (cosa che ci consente di creare al contempo due creature, insomma di prendere due piccioni con una fava).

Ovviamente idee del genere sono state e vengono sfruttate continuamente dagli autori di fantascienza o di fantasy. Il caso più noto è probabilmente quello della saga di Alien, che trovate nelle tavole conclusive, ma gli esempi potrebbero essere moltissimi.

Se il caso di Alien vi può sembrare piuttosto truculento ricordate che sulla Terra esistono cose forse anche peggiori: le spore del fungo Ophiocordyceps unilateralis entrano nella testa delle formiche attraverso i loro spiracoli, a questo punto il fungo cresce all’interno del corpo della formica e la fa dirigere verso microclimi adatti alla sua sopravvivenza (si parla perciò di formiche zombie), alla fine perfora la testa del povero insetto per liberare le sue spore. Anche alcuni trematodi sono in grado di “prendere il controllo” del cervello dei loro poveri ospiti, come il Fundulus paravipinnis, un pesce che, se parassitato, inizia ad avere comportamenti strani, come emergere spesso dall’acqua. Il fundulus diventa così facile preda degli uccelli, che rappresentano gli ospiti definitivi di questi parassiti.

È piuttosto orrendo anche quanto accade nell’interazione tra uomo e Candirù (un solitamente innocuo pesciolino dell’Amazzonia). Anche molti nematodi possono avere l’uomo come ospite, causandone spesso abnormi deformazioni.

Abbiamo visto quindi come molti animali parassiti, immaginari o no, abbiano dei cicli vitali piuttosto complessi. Ma non sono gli unici: prendiamo anche in questo caso un esempio di ciclo vitale legato al nostro pianeta e uno che deriva dalla fantascienza: nella tavola a fine capitolo potrete vedere un confronto tra il ciclo vitale degli abyormeniti (i protagonisti del romanzo Cycle of fire di Hal Clement) e quello, terrestre ma forse più affascinante, della medusa e del polipo.

Un altro ciclo vitale particolarmente interessante è quello degli animali coprotagonisti del romanzo “Neppure gli dei” di Isaac Asimov. In questo caso si tratta di creature che vivono in un altro universo, con altre leggi fisiche (per esempio l’interazione tra i viventi o tra i viventi e materia inanimata è molto diversa dalla nostra e difficile da immaginare) che però, per vari motivi, si trova in contatto con il nostro.

Se vogliamo cercare esseri strani senza lasciare il nostro universo, un punto di riferimento non può che essere Solaris (lasciate perdere il brutto remake con George Clooney e guardatevi il film di Tarkowskij o, ancor meglio, leggetevi il bello quanto pesante romanzo di Stanislaw Lem). Solaris è una sorta di oceano che ricopre l’omonimo pianeta. Questo oceano, in grado di creare delle escrescenze di diverso tipo, complessità e longevità, è oggetto di studio da parte degli umani da centinaia d’anni. La grossa frustrazione degli studiosi è non riuscire a comprendere se Solaris (che indubbiamente ha degli effetti sul modo di agire e di pensare degli umani che ospita) sia in realtà vivo o no e se sia intelligente oppure no.

Per rimanere sulla riflessione di che cosa sia la vita e di quali manifestazioni possa avere, e su cosa significhi pensare un’altra pietra miliare della fantascienza, un’altra creatura assolutamente interessante, è La nuvola nera dell’omonimo romanzo del cosmologo britannico Fred Hoyle (recentemente scomparso).

Cicli naturali e popoli

Insomma, inserire un nostro animale in una rete di relazioni ci aiuterà a dargli profondità, credibilità e probabilmente potrebbe anche fornirci molti spunti narrativi. Animali interessanti, da questo punto di vista, si trovano sia sul nostro pianeta che su pianeti immaginati da scrittori e creativi.

Inoltre creare dei cicli vitali, degli ecosistemi complessi e delicati, può permetterci di dare delle connotazioni realistiche a popolazioni che, per vivere, devono inserirsi in questi cicli naturali. Un buon esempio è quello dei Na’vi, che vivono in perfetta fusione con la natura in Avatar, ma potremmo citare anche il caso dei Fremen del ciclo di Dune. Frank Herbert (l’autore) ha esplicitamente dichiarato di essersi ispirato ai popoli tradizionali (in particolare i Tuareg) per creare la cultura dei Fremen, per plasmarne il modo di pensare e di agire: popoli estremofili (e pertanto interessanti) la cui sopravvivenza dipende quasi completamente dalla capacità di inserirsi in un ciclo naturale fatto di animali (nel caso dei Tuareg cammelli e capre, nel caso dei Fremen vermi giganti lunghi decine o centinaia di metri), ambienti ostili, sfruttamento delle poche risorse del suolo e così via.

Insomma, sia che vogliamo creare animali, sia che vogliamo creare specie e popolazioni intelligenti (come i Fremen) è molto utile sviluppare attorno ad essi, al contempo, un ambiente complesso, caratteristico ed articolato.

Rimaniamo ancora un attimo sulle specie intelligenti: quando ne creiamo una, teniamo sempre in considerazione che il modo di ragionare di una creatura e di un popolo, oltre a essere influenzato dall’ambiente che lo circonda (come ci insegnano Cameron ed Herbert), oltre a rispecchiarsi nella lingua (come ci insegnano Tolkien e Star Trek – non ne abbiamo parlato, ma il Klingonese rispecchia perfettamente il modo di pensare e di agire del popolo che lo parla) dipende chiaramente anche dalla sua morfologia: insomma , per fare un esempio banale, se create una creatura che ha sei tentacoli è ragionevole che ragioni e calcoli in base sei e non in base dieci.

Fare crescere e sviluppare una popolazione scrivendo musica autogenerante

Facendo un ulteriore passo, soprattutto se ci interessa costruire delle creature per tipi di narrazione non lineare (come videogiochi, giochi di ruolo) o simulazioni, potremmo studiare come la popolazione del nostro animale si sviluppi nel tempo in un dato ambiente.

I timori malthusiani di crescite più o meno esponenziali di una popolazione (che troviamo per esempio nei Gremlins o nell’apprendista stregone di Fantasia) sono interessanti per narrazioni catastrofiche ma non sembrano trovare corrispondenti nella realtà macroscopica.

Ai modelli di sviluppo classici (come il Lotka-Volterra, il Verhulst o l’Holling- Tunner) si sono affiancati, grazie allo sviluppo dell’informatica, modelli di studio estremamente sofisticati (le variabili da tenere in considerazione sono sempre moltissime) che vengono costantemente studiati e perfezionati; in questo contesto però ci sembra interessante citare alcuni modelli di sviluppo dalle regole molto semplici ma in grado di creare sviluppi di popolazioni estremamente affascinanti, tanto che alcuni ne hanno trovato implicazioni filosofiche, altri ne hanno visto potenzialità artistiche, altri ancora li trovano interessanti passatempi a livello quasi enigmistico, cioè gli automi cellulari.

L’automa cellulare più famoso, probabilmente, è il “Game of life” elaborato nel 1970 dal matematico inglese John Conway nel 1970.

Un automa cellulare può essere definito un gioco senza giocatori; a noi piace di più paragonarlo a un acquario: è un sistema di cui noi forniamo una configurazione iniziale e che poi da questa configurazione iniziale si sviluppa, seguendo determinate regole, in modo autonomo.

Ma come funziona il Game of life? Semplice, si prende un foglio di carta quadrettata, possibilmente di grandezza infinita, oppure una tavola di Go (anche questa sarebbe meglio infinita) o più semplicemente si va su un sito come questo e si iniziano a inserire nelle celle alcuni “viventi” (cioè dei pallini neri) creando una configurazione iniziale.

Quando siamo soddisfatti della nostra configurazione iniziale facciamo scattare una generazione (con un click o con una gomma e una matita oppure spostando pedine sulla nostra scacchiera).

La popolazione all’interno del nostro ambiente ora si evolverà nel seguente modo:

-Qualsiasi cella viva con meno di due celle vive adiacenti muore (isolamento)
-Qualsiasi cella viva con due o tre celle vive adiacenti sopravvive alla generazione successiva;
-Qualsiasi cella viva con più di tre celle vive adiacenti muore(sovrappopolazione);
-Qualsiasi cella morta con esattamente tre celle vive adiacenti diventa una cella viva (riproduzione).

Facendo passare decine e centinaia di generazioni spesso si ottengono risultati interessanti: Convey e i numerosi studiosi e semplici appassionati che si interessarono al Game of life, iniziarono a trovare delle configurazioni iniziali particolarmente interessanti, che generavano cicli o movimenti sulla mappa particolari: gruppi di viventi che migrano, altri che seminano vita o morte ovunque passino, cicli che si ripetono all’infinito se non vengono perturbati da elementi esterni. Conwey stabilì addirittura un premio in denaro a chiunque avesse trovato una configurazione in grado di crescere indefinitamente.

Molti altri matematici si dilettarono a creare altri automi cellulari, modificando alcune delle regole originarie del game of life (per esempio cambiando la forma delle celle, da quadrate a esagonali, o spostando il gioco su un piano tridimensionale).

Gli automi cellulari, oltre a essere “responsabili” della formazione di alcuni pattern che troviamo in natura (come le striature delle zebre), sono oggetto di studio da parte di matematici, economisti, ma anche cosmologi e filosofi: c’è chi, come Edward Fredkin e Stephen Wolfram ipotizza che lo stesso universo possa svilupparsi seguendo le regole, non ancora comprese, di un grosso automa cellulare.

Anche dal punto di vista artistico (soprattutto musicale), gli automi cellulari non hanno mancato di creare suggestioni. Nell’ambito della musica colta, il compositore greco Iannis Xenakis li utilizzò fin dagli anni ‘80 per creare melodie autogeneranti, ma esistono anche sintetizzatori virtuali gratuiti che le utilizzano e ci sono siti che generano suonerie per il telefono utilizzando gli automi cellulari.

Ma bando alle digressioni e iniziamo a fare qualche esercizio sulla creazione di animali alieni.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Disegni: Federica Moro

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Carlo Rigon
Di formazione umanistica, ha conseguito il Master in Comunicazione della scienza presso la SISSA di Trieste. Insegnante, si occupa con scarso successo e poca costanza di tante cose. Tra i suoi progetti più riusciti un "museo del dinosauro giocattolo", ora chiuso.