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Jocelyn Bell, dal Nobel negato alla medaglia Copley

L’astrofisica nordirlandese Jocelyn Bell, a cui nel 1974 fu negato il Nobel per la Fisica, è stata premiata con lo Special Breakthrough Prize e la medaglia Copley

Cosa significa attendere oltre mezzo secolo per veder riconosciuti i propri meriti? Lo sa bene Jocelyn Bell, astrofisica nordirlandese che nel 1967 – all’epoca giovane dottoranda all’Università di Cambridge – ha scoperto le pulsar, stelle di neutroni molto dense che emettono segnali radio a intervalli brevi e regolari. 

Per questa scoperta sensazionale, che ha contribuito in modo significativo alla nostra comprensione di regioni remote dell’universo, Antony Hewish – suo supervisore durante il dottorato – è stato insignito del premio Nobel per la Fisica, assegnato anche al collega Martin Ryle. Era il 1974. Bell non ha ottenuto nulla, neppure una semplice menzione.

Nel 2018, 51 anni dopo le prime osservazioni delle pulsar, l’astronoma ha ricevuto lo Special Breakthrough Prize in Fundamental Physics. Si tratta di un riconoscimento prestigioso – tra i vincitori figurano scienziati del calibro di Stephen Hawking – ed è in assoluto il premio scientifico più ricco: 3 milioni di dollari, che Bell ha deciso di utilizzare interamente “per finanziare progetti a favore delle donne, delle minoranze etniche sottorappresentate e di studentesse e studenti rifugiati, in modo che abbiano l’opportunità di diventare ricercatori di fisica”.

Nel 2021, inaspettatamente, la scienziata ha ottenuto la medaglia Copley. Si tratta del premio più antico del mondo, istituito nel 1731 dalla Royal Society di Londra. Nel corso di quasi tre secoli la medaglia è stata assegnata a due sole donne: la cristallografa Dorothy Crowfoot Hodgkin, nel 1976, e Jocelyn Bell, quest’anno.

L’attesa è stata lunga, lunghissima, ma non è stata vana.

I primi anni

Susan Jocelyn Bell nasce nel 1943 a Lurgan, in Irlanda del Nord. Suo padre, un architetto con la passione per l’astronomia, alla fine degli anni Cinquanta contribuisce alla manutenzione dell’osservatorio di Armagh e spesso si fa accompagnare dalla figlia, che ha così la possibilità di provare i telescopi e le altre strumentazioni. Jocelyn capisce presto che quella è la sua strada. I suoi genitori e gli astronomi che lavorano all’osservatorio la incoraggiano ad andare avanti, ma nell’Irlanda del Nord dell’epoca una ragazza appassionata di scienza non ha vita facile. Il curriculum femminile del Lurgan College, la scuola che frequenta, include solo materie come cucina e punto croce. Soltanto grazie alle pressioni dei suoi e di altri genitori la politica dell’istituto cambia e per la prima volta viene concessa alle studentesse la possibilità di studiare materie scientifiche. 

Dopo il diploma, Jocelyn Bell si iscrive all’Università di Glasgow, dove nel 1965 si laurea con lode in fisica. Decide quindi di proseguire i suoi studi all’Università di Cambridge. Frequenta il New Hall College, fondato pochi anni prima per aumentare la proporzione delle donne all’interno dell’università. Qui entra in contatto con l’astronomo Antony Hewish, che diventa suo mentore nonché supervisore negli anni di dottorato. Insieme lavorano alla costruzione dell’Interplanetary Scintillation Array, un radiotelescopio pensato per studiare i quasar, lontanissime galassie che emettono intense emissioni radio e sono dotate di un nucleo estremamente luminoso, rilevate per la prima volta pochi anni prima.

La scoperta delle pulsar

Il 28 novembre 1967, Jocelyn Bell nota un’anomalia nei dati trasmessi dall’Interplanetary Scintillation Array: un impulso che si ripete all’incirca ogni 1,3 secondi. La sua emissione cadenzata e ritmata è inizialmente interpretata come un possibile segnale emesso da una civiltà extraterrestre, tanto che l’astronoma e i suoi colleghi decidono di chiamare quello strano impulso ritmico “Little Green Men-1” (LGM-1), cioè “piccoli omini verdi”. Poco dopo, però, Bell individua impulsi analoghi e ipotizza che la fonte sia un oggetto cosmico naturale.

Viene infine scoperto che i segnali provengono da stelle di neutroni in rapida rotazione, residui incredibilmente densi di stelle massicce morte dopo l’esplosione di una supernova. Il nome pulsar, da pulsating radio source, compare per la prima volta in un articolo pubblicato sul Daily Telegraph nel 1968.  

“Il professor Hewish mi disse di lasciar perdere perché probabilmente quell’interferenza era artificiale, di origine umana”, dichiarerà in un’intervista Jocelyn Bell, “ma io avevo intuito che in realtà si trattava di qualcosa di nuovo, così decisi di insistere”. Hewish si rende presto conto che la sua studentessa ha ragione, e poco dopo la scoperta diventa di pubblico dominio.

I mezzi di comunicazione mostrano molto interesse per i ricercatori di Cambridge, ma mentre a Hewish viene chiesto di raccontare quello che è stato fatto dal punto di vista puramente scientifico, Bell viene contattata per aggiungere note di colore alla notizia. Le vengono poste domande sulle sue relazioni sentimentali, sul colore dei suoi capelli e persino sulle sue misure. I giornalisti vogliono sapere se è più alta della principessa Margaret e le chiedono di slacciare un paio di bottoni della camicetta per le fotografie.

Una carriera straordinaria

Dopo aver conseguito il dottorato in astrofisica a Cambridge, nel 1969, Bell porta avanti numerose ricerche e ricopre svariati incarichi in prestigiose università del Regno Unito e degli Stati Uniti. Tra il 1968 e il 1973 lavora presso l’Università di Southampton, poi all’University College di Londra e al Royal Observatory di Edimburgo. Per anni è tutor, consulente, esaminatrice e docente per la Open University e nel 1986 viene nominata project manager del James Clerk Maxwell Telescope di Mauna Kea, nelle isole Hawaii. Lavora inoltre alla Princeton University e al Mansfield College di Oxford. Nel 2014 è la prima donna a essere eletta presidente della Royal Society di Edimburgo. Oggi è visiting professor di astrofisica all’Università di Oxford.

Oltre allo Special Breakthrough Prize e alla medaglia Copley, nel 2021 Bell ha ottenuto la medaglia d’oro della Royal Astronomical Society, la più alta onorificenza della società astronomica britannica. Questo e gli altri premi sono significativi, oltre che per il loro valore intrinseco, perché costituiscono una sorta di tardiva ammissione di colpa da parte dell’intera comunità scientifica, una forma di risarcimento morale per il Nobel negato.


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Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.