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40 anni di risonanza stocastica – intervista a Giorgio Parisi

In occasione della Notte Europea dei ricercatori del prossimo 24 settembre, questa settimana racconteremo alcune storie particolari, di scienza, di ricercatrici e di ricercatori.

Gli anni Ottanta rappresentano per molti italiani un’epoca felice. Ci eravamo lasciati quasi alle spalle il terrorismo e il clima più rilassato stava trasformando le nostre città in grandi salotti. Nasceva così il mito della “Milano da bere”, con bar e ristoranti pieni tutte le sere della settimana. Le televisioni private stavano cambiando il mondo dell’intrattenimento e forse anche il nostro modo di pensare, senza dimenticare le notti di Pablito e l’Italia che diventa Mundial.

Sempre in quegli stessi anni, però, a Roma imperversavano persone poco raccomandabili come Johnny lo Zingaro o la banda dell’arancia meccanica, che di notte si potevano incrociare insieme ad altri romani come Angelo Vulpiani e Roberto Benzi, che alle prime luci dell’alba andavano alla ricerca di cornetti caldi per poi rientrare nei loro laboratori de La Sapienza per continuare a fare ricerca. Sono proprio Vulpiani e Benzi che, assieme a Giorgio Parisi, riuscirono nel novembre del 1981 a dare uno scossone al mondo della fisica con la pubblicazione del loro studio, insieme ad Alfonso Sutera, sulla risonanza stocastica.

A quarant’anni di distanza da questa ricerca – fondamentale per comprendere, per esempio, le scienze del clima – l’Università degli Studi Perugia, nel corso di un pre-evento Sharper – Notte Europea dei Ricercatori, ha voluto ricordare questo studio con un incontro che si è tenuto lo scorso 15 settembre. L’incontro ha concluso il Congresso Internazionale Stochastic Resonance Forty Years (SR40), organizzato dal Laboratorio NiPS diretto dal Luca Gammaitoni dell’università degli Studi Perugia.

Anche OggiScienza ha deciso di ripercorre le tappe della risonanza stocastica attraverso i ricordi di Giorgio Parisi.

Torniamo a quarant’anni fa e la genesi della vostra scoperta. Da dove siete partiti?

All’epoca facevo studi sulla dinamica quantistica ma un giorno mi sono ritrovato casualmente all’università La Sapienza ad assistere a un seminario di Alfonso Sutera. Siciliano di origine, Sutera lavorava da anni negli Stati Uniti sulle glaciazioni. Ne sapevo ben poco, solo qualche lettura da Scientific American.

I modelli matematici proposti dai climatologi miravano ad attribuire la periodicità delle glaciazioni a qualche combinazione di fenomeni astronomici, ovvero a variazioni nella quantità di energia solare che arrivava sulla Terra. In sostanza due situazioni stabili: una dove fa caldo (grazie all’effetto serra) con pochi ghiacci e un’altra quella delle glaciazioni, dove il ghiaccio respinge la luce solare e quindi la Terra assorbe meno le radiazioni rimanendo fredda. La transizione tra questi due stati veniva spiegata con le variazioni di eccentricità dell’orbita terrestre, il cui periodo è proprio quello delle glaciazioni (circa 100.000 anni).

Ecco, qui scendete in campo lei, Angelo Vulpiani e Roberto Benzi…

Il seminario di Sutera mi aveva incuriosito. Un giorno, passeggiando con il mio collaboratore all’università Roberto Benzi, ho accennato alla possibilità di cercare una condizione in cui una piccola forzatura periodica e una causa casuale molto più grande potessero cooperare per far oscillare la temperatura tra i due stati stabili.

Un’idea, forse ingenua, che però trovò l’appoggio anche da parte di Vulpiani e Sutera. Dopo giorni di discussioni iniziammo a sviluppare dei modelli matematici simulando la temperatura della Terra al computer.

Dopo ulteriori verifiche arrivammo a formulare la nostra ipotesi di modello dove le glaciazioni potevano essere causate da un debole segnale periodico legato al movimento del nostro pianeta, il cui effetto era amplificato dalle fluttuazioni, proprie degli eventi climatici casuali dell’atmosfera della Terra, come i processi oceanici modellizzabili come un rumore che abbiamo identificato come un fenomeno di risonanza stocastica.

Insomma, un cambio di paradigma importante per la climatologia e per il mondo della fisica in generale. Come è stato accolta la vostra scoperta?

Come tutte le scoperte importanti: snobbata dalle riviste più prestigiose come Science. Non era un argomento “sexy” e spesso le riviste con più alto impact factor non sono interessate ai nuovi settori di studio. Ma non ci siamo persi d’animo. Abbiamo pubblicato il nostro lavoro su Tellus e oggi la risonanza stocastica è citata in 40mila paper.

Perché risonanza stocastica?

Il nome venne in mente a Benzi durante una presentazione a un convegno. Un collega gli chiese come avevamo chiamato la nostra scoperta. Improvvisò e così è storia.

Una teoria che è divenuta negli ultimi quarant’anni così diffusa da essere quasi pervasiva nei campi più differenti di ricerca.

Sì, dagli anni Novanta è stata osservata nella comunicazione dei neuroni. Ma ci sono esempi in medicina, fino all’elettronica. Per non parlare di alcune ricerche, un po’ particolari, relative ai fantasmi. Ma qui ci allontaniamo dalla scienza.

Lei, Vulpiani e Benzi. Tre ricercatori a Roma. La fisica in Italia ha sempre avuto una grande storia: basta ricordare un altro gruppo romano di ricerca, quello di Enrico Fermi. Ecco, come sta la fisica italiana oggi?

Se parliamo della fisica italiana, sta molto bene; se invece ragioniamo sui fisici italiani che fanno ricerca da noi, direi, allora, che abbiamo alcuni problemi. I nostri ricercatori stanno invecchiando e molti giovani vanno via. Poi non siamo in grado di essere attrattivi per i fisici provenienti dall’estero. Penso che il 50% dei nostri più bravi ricercatori vadano all’estero e i nostri governi non fanno niente per aiutarli a rimanere.

Di Francesco Aiello e Angela Giorgi

(*)A seguito di una segnalazione di errore questo articolo è stato modificato il 21 settembre 2021 alle ore 23


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Immagine: Wikimedia Commons

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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