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Alla ricerca del buio

“Cieli neri” di Irene Borgna non è solo un inno all’amore per le notti stellate, ma molto di più: un viaggio alla ricerca del buio, cercando di capire perché siamo così soffocati dal suo opposto, e quali conseguenze ha per noi e per il Pianeta l’inquinamento luminoso

Visti i costi dell’energia elettrica, cosa può esistere più a buon mercato del buio? Eppure sta diventando un lusso: per chi desidera ammirare una notte che possa essere definita tale bisogna mettere in predicato un viaggio in auto o in treno, se invece si vuole il buio vero e proprio sarà necessario un volo intercontinentale. “Cieli neri. Come l’inquinamento luminoso ci sta rubando la notte” dell’antropologa Irene Borgna è un viaggio particolare: un viaggio alla ricerca di un’assenza. L’assenza di luce, in una zigzagante traversata dalle Alpi Marittime fino al Mare del Nord, alla ricerca delle ormai rarissime notti buie in Europa. È un libro che permette di approfondire a fondo il significato della luce per noi, sia da un punto di vista storico, simbolico, antropologico, sia a quali conseguenze biologiche, economiche e mediche può avere il suo eccesso.

Ben “l’80% della popolazione mondiale e il 99% della popolazione statunitense ed europea conosce solo una notte a metà, un’oscurità monca, viziata da un invadente chiarore artificiale che nasconde la maggior parte delle stelle.” Si tratta di un problema recente: l’illuminazione pubblica è nata poco più di cent’anni fa, e da circa trenta sta diventando la norma per buona parte dell’umanità avere notti luminose. Siamo i primi abitanti del Pianeta a sperimentarne gli effetti sulla propria pelle – e su quella degli altri viventi – in un gigantesco esperimento. Questo ha portato in breve a una conseguenza piuttosto spiazzante: il sessanta per cento dell’umanità non riesce più a scorgere la Via Lattea, la propria casa nell’Universo. Al punto che, il 17 gennaio 1994, subito dopo il forte terremoto di Los Angeles, con la città al buio, sono state numerosissime le telefonate al 911 e al vicino osservatorio astronomico Griffith per la strana nube d’argento sospesa sulla città: molti abitanti non l’avevano mai vista e temevano potesse essere una minaccia.

Pensiamo che più luce voglia dire meno criminalità e meno incidenti stradali: eppure “è dimostrato che troppa luce mal indirizzata può abbagliare i guidatori, e che luci troppo bianche e intense cancellano più di quanto rivelano, accecando le vittime di violenza e persino le telecamere di sorveglianza, che dovrebbero proteggerle. La luce usata male finisce per fare un favore ai malintenzionati, per essere criminal-friendly. Nei luoghi dove hanno scelto di abbassare la luce in notte profonda non è stato registrato un aumento dei reati, dei pedoni arrotati o delle auto finite nei fossi. […] Non è stato riscontrato alcun collegamento tra le collisioni e l’illuminazione, nonostante i ricercatori abbiano scandagliato in cerca di una correlazione circa 14.500 miglia di strade dove i lampioni sono stati oscurati, illuminati solo per una parte della notte o completamente spenti. Hanno anche esaminato l’effetto dell’illuminazione sulla criminalità e nemmeno in questo caso hanno riscontrato un aumento di furti, rapine e violenze nelle aree in cui la politica di illuminazione era cambiata.”

Eppure, al buio non ci sentiamo al sicuro. Anzi, esistono più termini per indicarne la paura: acluofobia, nictofobia e scotofobia. Abbiamo i sensi all’erta, i battiti aumentano, il nostro corpo entra in modalità “fight-or-flight”, combatti o scappa. Più che del buio in sé, però, abbiamo paura di quello che potrebbe capitare in assenza di luce, anzi, di quello che pensiamo possa accadere. Tendiamo a esagerare pericoli che ci impressionano, ma hanno probabilità estremamente ridotta, e ignoriamo rischi molto più concreti.

Per rendere la notte più comoda per noi, la rendiamo impraticabile per moltissime specie: confondiamo gli uccelli migratori, mettiamo in difficoltà animali notturni come rapaci e pipistrelli, stravolgiamo gli ambienti acquatici impedendo ad alghe e microrganismi di svilupparsi, alle uova dei pesci pagliaccio di schiudersi e ai salmoni di orientarsi. Ci sono piante che si rifiutano di fiorire se troppo illuminate e primavere anticipate dalle giornate senza notte. In poche parole, l’inquinamento luminoso ha un impatto molto pesante su vegetali e animali, con effetti a cascata sul resto della catena alimentare. E anche noi non siamo immuni, la nostra salute ne risente: la luce bianca emessa dai LED ad alta temperatura di colore inganna e confonde il nostro organismo, che finisce per scambiare la notte per il giorno, non rilasciando l’ormone del sonno e del riposo, sconvolgendo i nostri ritmi biologici e compromettendo le funzioni del sistema immunitario. “Chi lavora di notte e dorme di giorno forza di brutto il ritmo circadiano e ha maggiori probabilità di sviluppare diabete, obesità, malattie cardiovascolari e alcuni tipi di tumore. Tra chi fa i turni è stata documentata anche un’incidenza maggiore di varie forme di depressione. Insomma scherzare col ritmo circadiano non sembra essere una grande idea, sul lungo periodo”.

La notte è antica quanto il nostro pianeta, eppure i più giovani non l’hanno mai vista davvero, e faticherebbero a provare nostalgia per qualcosa che non sanno di aver perso. “Nel 2003 la Dichiarazione Universale dei Diritti delle Generazioni Future ha sancito che le generazioni future hanno diritto a una Terra integra e non contaminata, incluso anche il diritto a un cielo puro. Un cielo stellato. Perché un bambino senza stelle è un adulto che non sogna. E il giorno in cui un blackout dovesse restituirgli il cielo per una notte, ne avrebbe paura, come i bambini di Los Angeles”. Eppure abbiamo una scelta: l’inquinamento luminoso non è una condanna. Possiamo disintossicarci dalla luce in eccesso, illuminandoci di meno, meglio e solo dove e quando è indispensabile. Ridurre l’inquinamento luminoso vuol dire difendere la salute delle persone, tutelare l’ambiente, diminuire le emissioni che causano il riscaldamento globale, risparmiare denaro e salvare un tipo di bellezza che attira i turisti. Dobbiamo abbassare il volume della luce per tornare ad ascoltare il cielo…


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Immagini: Pixabay

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Giulia Negri
Comunicatrice della scienza, grande appassionata di animali e mangiatrice di libri. Nata sotto il segno dell'atomo, dopo gli studi in fisica ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della SISSA di Trieste. Ama le videointerviste e cura il blog di recensioni di libri e divulgazione scientifica “La rana che russa” dal 2014. Ha lavorato al CERN, in editoria scolastica e nell'organizzazione di eventi scientifici; gioca con la creatività per raccontare la scienza e renderla un piatto per tutti.