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Covid-19: oggi lo prevediamo con più accuratezza

Con il Covid 19 abbiamo migliorato la nostra capacità di prevedere gli scenari epidemici, prendendo a prestito i concetti tipici della climatologia

Come proseguirà la pandemia di Covid-19 nei prossimi mesi? È una domanda delicata. Soprattutto perché le politiche di intervento efficaci sulla sanità pubblica dipendono da una previsione accurata degli scenari epidemici.

In questi ultimi due anni sono stati fatti numerosi progressi nella capacità di prevedere l’andamento delle epidemie. Infatti il modello di previsione di cui andremo a parlare fa parte della nota famiglia di modelli SIR (dall’inglese Susceptible Infected Recovered), ma prevede di prendere in conto le fluttuazioni epidemiche. Questo modello è ormai ampiamente utilizzato dai centri europei e mondiali che si occupano delle proiezioni sull’andamento della pandemia.

La capacità predittiva era invece ben diversa durante l’epidemia dell’influenza H1N1 e all’inizio della pandemia di Covid-19. Si registrava sempre un certo ritardo temporale tra le previsioni dei modelli e l’effettiva comparsa del picco pandemico. E all’inizio sono state avanzate pure diverse ipotesi per cercare di spiegare l’errore.

Un gruppo di scienziati italo-francesi ha dimostrato, con un articolo pubblicato su Chaos, quali fossero gli elementi che introducevano inaccuratezze nelle precedenti previsioni.
Seguire modelli più accurati ha offerto la possibilità di fare previsioni in tempo reale.  Ma, oltre a questo, anche di testare diverse strategia di mitigazione per controllare la diffusione del Covid-19.

Le innovazioni introdotte dal modello stocastico

“Il nostro studio è iniziato dall’osservazione dell’andamento epidemiologico in Italia confrontando i dati clinici con i modelli predittivi”, racconta Davide Faranda, ricercatore presso il CEA-CNRS-UVSQ Université Paris-Saclay. “I modelli usati in epidemiologia erano basati su un comportamento deterministico, per cui il quadro epidemiologico domani dipendeva esclusivamente dai numeri registrati oggi”.

Le carenze previsionali dei modelli precedentemente utilizzati erano legate alle domande cui cercava di rispondere l’epidemiologia. “Di fatto, prima della pandemia del Covid-19, l’epidemiologia non si occupava di previsione in tempo reale. C’erano studi sull’andamento di epidemie del passato o, al massimo, la necessità di prevedere l’andamento epidemico per l’influenza dell’anno successivo”.

Introducendo nei modelli vari fattori di disturbo, che aggiungono fluttuazioni nella dinamica del virus, i ricercatori hanno quindi ottenuto previsioni molto più rispondenti a ciò che accade nella realtà.

I fattori che introducono una variazione rispetto al modello deterministico sono tanti. Occorre conoscere con esattezza lo status in cui si trova la popolazione e questa conoscenza è limitata dalla capacità di processare i tamponi. Poi è diversa la possibilità di infettarsi da persona a persona: tale eventualità è influenzata da età, sesso, caratteristiche del virus, varianti e status vaccinale. Inoltre è variabile anche la capacità di testare nuovi casi. Pensiamo, ad esempio, a ciò che accade durante i fine settimana quando vengono eseguiti meno tamponi e sembra che il numero di casi scenda.
Anche gli studi clinici hanno confermato tanta variabilità nelle dinamiche virali: da una persona all’altra può cambiare il tempo di incubazione e di guarigione, oltre che la durata dei sintomi Covid.

“Ci siamo resi conto che il modello che assume queste cose come costanti non poteva essere usato per previsioni affidabili della dinamica epidemiologica. Se però si prendono in considerazione tutti questi fattori, introducendo una certa variabilità nella dinamica, si può ottenere una previsione molto più realistica. Le fluttuazioni nella dinamica del virus indotte da questi fattori, restituiscono un altro tempo di diffusione della pandemia rispetto a quello calcolato nella dinamica deterministica. Calcolare questo tempo aggiunge una difficoltà ulteriore al prevedere quando ci sarà il picco epidemico”.

Prevedere piccole epidemie locali

Per prevedere la traiettoria epidemica, un parametro importante è il numero corrispondente all’indice di trasmissibilità, Rt, che descrive il numero medio di infezioni trasmesse da un individuo. Nel modello deterministico, quando Rt varia al di sopra di 1, si osserva sempre un’ondata epidemica e quando Rt è al di sotto di 1, l’epidemia è sempre contenuta.

“Con il nostro modello abbiamo scoperto che anche con un Rt inferiore a 1 si possono verificare picchi epidemici locali che riprendono in un certo periodo di tempo. Anche in questo caso, bastano alcune fluttuazioni per influenzare le epidemie locali”. Le fluttuazioni sono qualcosa di molto concreto, come un mega concerto o una partita allo stadio dove sono presenti una o più persone che ne possono contagiare in poco tempo molte altre. “Una fluttuazione locale è sufficiente per innescare una dinamica epidemica su un breve tempo, che può diventare però anche lungo se non si prendono contromisure”.

Pertanto una migliore previsione dipende sia dai livelli di Rt che dalle fluttuazioni dei tassi di infezione e recupero. Quindi oggi abbiamo uno strumento per valutare le conseguenze delle fluttuazioni dei parametri in base ai diversi livelli di Rt.

L’eredità della climatologia

La ricerca apparsa su Chaos è un studio teorico volto a porre le basi all’approccio di modellizzazione che introduce rumore e variabilità nei modelli epidemiologici SIR.

“Il fatto di introdurre rumore e incertezza, consente di definire un intervallo di scenari possibili, invece che di fare un’unica previsione. È quanto accade quando si sostituisce all’approccio deterministico, che restituisce un risultato unico e medio, un approccio probabilistico. I vecchi modelli non erano sbagliati ma davano risposte parziali, cioè solo una possibile soluzione ignorando tutte le altre”.

I modelli probabilistici usati per prevedere l’andamento dell’epidemia di Covid-19 sono concettualmente molto simili a quelli che applicano climatologi, per immaginare i futuri scenari ambientali sulla base delle azioni intraprese nel presente.

“Le equazioni dei modelli sono completamente diverse ma l’idea è la stessa e ci sono numerosi parallelismi”, conferma Faranda che, per formazione, è un fisico statistico e climatologo. “Come esseri umani possiamo intervenire in entrambi i sistemi. In base alle scelte che faremo e alle fluttuazioni dei sistemi, possiamo prevedere diverse risposte”.

Nel contesto dell’emergenza che ci siamo trovati ad affrontare è stata dunque fondamentale la collaborazione tra diversi ambiti scientifici che, confrontandosi, hanno potuto fornire risposte più accurate.

“Per me non è stato facile contribuire all’epidemiologia e all’inizio c’è stata anche una certa diffidenza nei confronti degli autori del paper che provengono tutti da altri domini diversi . Tuttavia, oggi tutti gli articoli pubblicati sono stati molto citati da altri autori, a conferma del loro valore.
E inoltre è nata una stretta collaborazione tra epidemiologi e climatologi. Una bella sinergia che può dare un grande aiuto alla società in un momento difficile”.


Leggi anche: Il cuore della pandemia

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

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Giulia Annovi
Mi occupo di scienza e innovazione, con un occhio speciale ai dati, al mondo della ricerca e all'uso dei social media in ambito accademico e sanitario. Sono interessata alla salute, all'ambiente e, nel mondo microscopico, alle proteine.