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Una finestra sul futuro. Diamo uno sguardo alle nuove frontiere della ricerca e ai protagonisti che rendono possibile il progresso della scienza.

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Il DNA si fa in quattro

CRONACA - Era da un po' che gli scienziati la cercavano (la struttura era già stata osservata nei ciliati, piccoli organismi monocellulari - il paramecio, ve lo ricordate?) ma mai nell'organismo umano. Lo studio pubblicato su Nature e pubblicato il 20 gennaio sulla rivista Nature Chemistry dimostra che nelle cellule umane si può trovare DNA disposto su ben quattro eliche (anziché la ben più comune doppia elica). Quando Watson e Crick nel 1953 pubblicarono su Nature i risultati dei loro ricoluzionari studi presentarono per la prima volta quello che diventerà un archetipo della nostra conoscenza: la doppia elica del DNA, così elegante, così semplice, così potente. Una sorta di scala a pioli in cui i due filamenti lunghi erano formati da una "collanina" di elementi che lanciavano un ponte sull'altro filamento legandosi con un altro elemento (ciascuna "base" solamente con quella lei complementare). Queste quattro basi (guanina, citosina, adenina, tiamina) formavano il "linguaggio macchina" con cui era scritto il "progetto" di tutti gli organismi viventi sul nostro pianeta. Watson e Crick avevano scoperto la lingua madre della biologia.
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Australiani? Isolati, ma non troppo

COSTUME E SOCIETÀ - In un panorama scientifico in continuo divenire in cui le nostre conoscenze vengono quotidianamente modificate e messe in discussione da nuove scoperte, favorite a loro volta dallo sviluppo di tecnologie di indagine sempre più economiche e all'avanguardia, poche informazioni sono considerate in qualche modo 'consolidate'. Nell'ambito dello studio dell'evoluzione umana e del popolamento della nostra specie dell'intero pianeta, una di queste conoscenze acquisite riguarda la colonizzazione del continente australiano e il successivo isolamento delle popolazioni giunte in questi territori dopo il primo imponente episodio migratorio. In generale, infatti, si è sempre pensato che le prime popolazioni umane giunsero in Australia intorno a 40.000 anni fa e che, almeno fino ai tempi storici, queste rimasero isolate dal resto dell'umanità (a parte contatti puntiformi con gli abitanti di Nuova Guinea e delle isole indonesiane e melanesiane). Questo punto fermo era basato su diversi studi che avevano confrontato il DNA degli aborigeni australiani con quello di diverse popolazioni provenienti da tutti gli altri continenti. Forse però questi studi non erano così approfonditi e condotti su campioni troppo ristretti poter cogliere alcuni importanti dettagli, come si legge sulle pagine della rivista PNAS in una ricerca condotta da Irina Pugach del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia ed altri ricercatori di svariate nazionalità che mette in dubbio questa nozione largamente condivisa. Lo studio ha analizzato, e successivamente confrontato tra loro, la varibilità all'interno dei genomi di aborigeni australiani, abitanti della Nuova Guinea e delle maggiori isole del Sudest asiatico, nonché di alcune popolazioni indiane provenienti dalle regioni da cui probabilmente partirono gli antenati dei primi colonizzatori dell'Australia.
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Prove a sfavore del modello delle sinapsi negli adulti

NOTIZIE - Uno studio recentemente pubblicato su Science rivoluziona due decenni di conoscenze sulla comunicazione di segnali tra cellule nervose. Un gruppo di neuroscienziati statunitensi, guidato da Maiken Nedergaard, dimostra infatti che la sinapsi tripartita - un modello da tempo accettato dalla comunità medica, e in cui diverse cellule collaborano per trasmettere i segnali all'interno del sistema nervoso centrale - non esiste nel cervello adulto. "La nostra scoperta dimostra che il modello a sinapsi tripartita è sbagliato, almeno per quanto riguarda il cervello adulto", afferma Nedergaard, prima autrice dello studio e condirettrice del Centro medico di neuromedicina dell'Università di Rochester, Stati Uniti
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Meno di zero?

CRONACA - Ricercatori dell'Università Ludwig Maximilian di Monaco di Baviera hanno recentemente pubblicato un articolo su Science, in cui descrivono la creazione di un materiale ultrafreddo, la cui temperatura assoluta, udite udite, sarebbe negativa! Ma cosa significa avere una temperatura negativa? Immaginate di trovarvi nello spazio siderale: buio assoluto, lontani milioni di anni luce dalla galassia più vicina, vi siete persi dopo un passaggio nell'iperspazio sulla Millennium Falcon. Nello spazio siderale, fa freddissimo: circa -270° Celsius, troppo freddo persino per lo Yeti. Alcuni potrebbero pensare che lo spazio siderale è il posto più freddo nell'universo. Ma contrariamente a quello che si crede, c'è un posto ancora più gelido, e non molto distante da casa nostra: il Large Hadron Collider al CERN. Per raffreddare i magneti superconduttori, necessari a mantenere i velocissimi protoni sulla loro traiettoria circolare, i fisici usano dell'elio superfluido, un grado e qualcosa più freddo dello spazio siderale: -271,25° Celsius. Con enormi sforzi, si può fare un po' meglio di così, ma non molto: la fisica predice l'esistenza di una temperatura minima, sotto la quale non si può raffreddare niente, nemmeno in linea di principio: si chiama infatti lo zero assoluto, o zero della scala Kelvin: -273,15° Celsius. Si possono avere temperature sottozero in gradi Celsius, come in Gennaio, mentre è del tutto impossibile sfondare la barriera dello zero Kelvin
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Lo smartphone che guarda attraverso i materiali

NOTIZIE - In un aeroporto, un agente segreto corre contro il tempo. Sa che c'è una bomba nei paraggi. Gira un angolo, adocchia una pila di scatole sospette, tira fuori dalla giacca il suo cellulare, lo punta verso le scatole. Mentre le scansiona, il loro contenuto appare sullo schermo. Appena in tempo, un'applicazione del suo smartphone portatile rivela un congegno esplosivo, e l'agente riesce a salvare la vita a sé e ai passeggeri. Suona troppo James Bond? Non lo è: si tratta, anzi, di una possibilità reale, resa possibile grazie...
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Ab-normal. Ovvero il cervello di un genio

CULTURA - Alla morte di Einstein, il suo corpo fu cremato, ma non il suo cervello. Quello fu asportato durante l'autopsia, conservato e fotografato da ogni angolazione. Poi sezionato in 240 parti e analizzato in diversi laboratori di tutto il mondo. Da queste analisi sono stati pubblicati fino ad ora solo sei studi scientifici convalidati, uno dei quali, nel 1999, aveva già indicato la presenza di un maggior numero di cellule gliali nel lobo parietale del fisico rispetto alla media. Ma nulla di più
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Il delfino fantasma prende forma

Se fosse chiamato delfino fantasma non ci sarebbe nulla di male, dal momento che vengono portate le prime evidenti prove della sua esistenza: la vicenda riguarda la balena dai denti a spatola, o meglio il mesoplodonte di Travers (Mesoplodon traversii), specie che non é mai stata avvistata (viva) in natura, ma di cui si sospetta l'esistenza da oltre un secolo, tanto che possiede una collocazione tassonomica ben definita. Le prime testimonianze fugaci della specie risalgono alla fine del XIX secolo, quando una mascella fu rinvenuta in Nuova Zelanda ma poi confusa con quella di una specie affine. Nel secolo successivo altri due ritrovamenti ossei (due scatole craniche) hanno arricchito il povero record della specie, ma anche questa volta i resti non furono correttamente assegnati. Si è dovuto attendere solo il 2002 perché, grazie ad analisi sul DNA, i tre reperti fossero con certezza assegnati a questa enigmatica specie, di cui fino ad oggi non si conosceva l'aspetto
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Matematica viscerale

L'ansia generata dall'annuncio di un test di matematica attiverebbe il circuito cerebrale del dolore, con conseguente mal di pancia. Forse, ma la ricerca va presa con parecchio sale.
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Quando si dice stare nella…

CRONACA - Gli scarabei stercorari sono noti per la loro singolare abitudine di trasportare con zelo e solerzia enormi, se paragonate alle loro dimensioni corporee, sfere di escrementi. Perchè? La risposta è facile: rappresentano la loro preziosa fonte di cibo che, in questo modo, è sempre a portata di mano e sotto il loro vigile controllo. Ma un curioso ed interessante studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Current Biology ha mostrato anche un'altra, importantissima funzione di queste sfere: negli assolati e roventi habitat sudafricani, dove vivono numerose specie che attuano questo comportamento (e in particolare Scarabaeus - Kheper - lamarcki, la specie oggetto di studio), esse permettono ai possessori di mantenere la temperatura corporea più fresca, fungendo da rifugio termico che li isola dal substrato rovente
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