Pubblicati i primi risultati del sequenziamento del genoma dell’Homo neanderthalensis
NOTIZIE – Ok, si tratta solo del 60% del genoma totale, e non proviene da un singolo individuo (è piuttosto l’assemblaggio di geni provenienti da tre diversi proprietari). Come se non bastasse è probabilmente pieno di errori (la copertura – il numero di volte in cui ogni base è stata sequenziata in media – è bassa, solo 1,3). Ma questa è decisamente la notizia (scientifica, ma non solo) del giorno, una pietra miliare della paleontologia. Lo studio oggi disponibile su Science (gratuitamente) pubblica finalmente i risultati del sequenziamento del DNA nucleare del Neanderthal (risultati già parzialmente svelati l’anno scorso, come racconta anche Sylvie).
Un nutrito team internazionale, in cui spicca Svante Pääbo, del Max Plank di Leipzig, in Germania, partendo da campioni estratti da 21 frammenti d’osso (dai quali sono stati alla fine scelti 3 reperti provenienti da tre diversi individui) delle grotte di Vindija, in Croazia, ha assemblato un abbozzo del 60% del genoma dell’Homo neanderthalensis.
Il risultato di Pääbo e colleghi getta nuova luce su una questione ampiamente dibattuta e mai risolta fra i paleoantropologi e i biologi evoluzionisti, se cioè il neanderthal e il sapiens si siano mai incrociati. I dati noti finora avevano sconfermato quest’ipotesi. Fino a oggi erano infatti disponibili solo tre copie, seppure ottime, del DNA mitocondriale del Neandertal. Il DNA mitocondriale viene ereditato per via materna e contiene solo pochi geni (se comparato con il DNA nucleare, che viene ereditato da entrambi i genitori e rappresenta da stragrande maggioranza del nostro codice genetico). Gli studi sul DNA mitocondriale avevano concluso che la distanza genetica fra lsapien e neanderthal è sufficientemente ampia da farne due specie ben distinte. La suggestiva ipotesi di una progenie di coppie miste sapiens-neanderthal (suggerita anche nella “guerra del fuoco”, il film di Jean-Jacques Annoud, di cui consiglio la visione) sembrava naufragare su questa evidenza, anche se la quantità ridotta di materiale genetico mitocondriale non era sufficiente per mettere una parola definitiva sulla questione.
Oggi però Pääbo e colleghi suggeriscono un nuovo scenario: una frazione fra l’1 e il 4% del DNA nucleare dell’uomo moderno è abbastanza simile ai segmenti equivalenti del genoma del neanderthal, e questo è compatibile con l’ipotesi dell’incrocio. E non finisce qui: i neanderthal risultano più simili agli umani moderni europei e asiatici di quanto siano simili a quelli oggi viventi nell’area subsahariana (risultato anticipato anche nello studio di Keith Hunley et al. presentato allo scorso meeting dell’Associazione americana di antropologia fisica).
Questo fatto apparentemente misterioso si spiega quando ripercorriamo la storia delle migrazioni umane dalla culla primitiva africana. L’uomo infatti è nato nel cuore dell’Africa e si è diffuso in tutte le terre emerse a seguito di due ondate migratorie. La prima è avvenuta 500.000 anni fa. I discendendi di questi “immigrati” (stanziatisi in Europa e Asia) sono proprio i neanderthal, specie i cui primi reperti fossili risalgono a 400.000 anni fa. La seconda ondata di migrazione, quella che ha portato l’uomo moderno a colonizzare il resto del mondo, è avvenuta 100.000 anni fa. Se ci fosse stato incrocio fra le due specie, questo dovrebbe essere avvenuto dopo quest’ondata migratoria, e questo spiegherebbe la presenza di DNA dei Neanderthal nel genoma dei moderni europei e asiatici (entrati in contatto con questa specie) e l’assenza invece negli uomini che dall’africa non si sono mai spostati.
Il team prevede di pubblicare i dati completi del genoma del neanderthal entro la fine dell’anno. Aspettiamo pazienti.