Si tratta del solito dilemma tra nature e nurture (tradotto con l’accetta: natura e cultura): il solito quesito che ancora non ha trovato risposta. Siamo uomini e donne perché siamo stati creati così o lo diventiamo attraverso l’educazione? Ne parla Raffaella Rumiati nel suo libro appena uscito per i tipi de Il Mulino.
LIBRI – “Gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere”. Così scriveva John Gray, uno dei più grandi esperti di psicologia delle relazioni, nel suo libro più noto, pubblicato con questo titolo. Negli anni ’90 il suo è stato il libro in assoluto più acquistato, dopo la Bibbia; ne sono stati venduti 30 milioni di copie in tutto il mondo, con traduzioni in 40 lingue. Segno che il rapporto tra uomini e donne ai lettori interessa.
Ci interessa capire se siamo diversi, perché lo siamo e se in fondo in fondo le donne potrebbero adattarsi a vivere su Marte o gli uomini seguire i loro sport preferiti anche dalle tv venusiane. E ancora: cosa ci rende – se lo siamo veramente – così diversi? Siamo nati così o la diversità tra i generi è data dall’educazione e dall’ambiente in cui siamo cresciuti?
Tra questi ed altri dubbi cerca di fare chiarezza il libro di Raffaella Rumiati, Donne e uomini, pubblicato nella collana Farsi un’idea de Il Mulino. La risposta è che non c’è chiarezza, ma al contrario un campo ancora del tutto da definire. Ci sono, però, molte ricerche interessanti e studi che rivelano aspetti, a volte contraddittori, della nostra natura di esseri umani, maschi e femmine.
Certamente si sa tutto – o quasi – sugli aspetti puramente anatomici che definiscono la differenziazione sessuale, si conosce il processo attraverso il quale, nell’utero materno, si formano i genitali e i tratti distintivi di uno dei due sessi, ma poi, per quel che riguarda il cervello, ed in particolare le sue funzioni più alte, tutto si fa più nebuloso.
Ci sono stati anni nei quali la risposta era stata cercata nella pura misurazione della grandezza del cervello e personaggi di spicco come Gustave Le Bon avevano concluso che, dato che molte donne avevano il cervello più simile per grandezza a quello di certi gorilla che agli uomini, “le donne rappresentano la forma più bassa dell’evoluzione, assomigliando più ai bambini e ai selvaggi che a un uomo adulto civilizzato”. Il che suona anche peggio che sentirsi dire di essere nate da una costola di Adamo.
L’interpretazione che diamo ai risultati delle ricerche dipende anche dal tempo in cui viviamo e forse, perché no, dal maggior grado di civilizzazione della società in cui cresciamo. Alcuni studi, ad esempio, hanno dimostrato che i piccoli della nostra specie giocano in modo differente: “Bambini e bambine – scrive la Rumiati – sembrano prediligere giocattoli diversi: queste differenze, che appaiono già dopo un anno di vita, si consoliderebbero durante l’infanzia. Tali affermazioni derivano dall’analisi del tempo che ciascun sesso trascorre con i giocattoli per ‘maschi’ o per ‘femmine’ (o li guarda): i maschi giocano più a lungo con i veicoli e le armi e le bambine con le bambole e gli utensili da cucina.”. Però, prosegue la professoressa: “È possibile che i piccoli della nostra specie siano predisposti a preferire giocattoli che hanno un particolare valore adattivo per il loro sesso? In altre parole, queste differenze sessuali relative alle preferenze per giocattoli possono emergere indipendentemente dall’influenza della socializzazione?”
La scelta di giocattoli diversi si riflette, nella crescita, con le scelte scolastiche e lavorative, ma se queste dipendano dalla natura o dalla cultura non è ancora dato certo. Vero è che – tanto per lasciarci con un altro dubbio aperto – le ricerche più recenti mostrano che molte differenze si sono ridotte negli ultimi decenni soprattutto nei Paesi con una maggiore equità tra i sessi.