Cordelia Fine e Rebecca M. Jordan-Young, fra risultati scientifici e smitizzazione dei luoghi comuni, attraversano il campo minato della definizione delle differenze di genere.
LA VOCE DEL MASTER – “How our minds, society and neurosexism create difference” (come le nostre menti, la società e il neurosessismo creano la differenza) e “The flaws in the science of sex differences” (I difetti della scienza delle differenze sessuali): così sottotitolano Cordelia Fine e Rebecca M. Jordan-Young i rispettivi Delusions of Gender e Brain Storm (recensiti da Diane Halpern su Science )
I sottotitoli lasciano ben intendere il taglio dei due saggi. Ci si muove in un contesto delicato, dove la partita non è mai chiusa: le differenze di genere. Comportamenti violenti, reazioni fisiche, tendenza alla focalizzazione del pensiero sul sesso, abilità matematica? Le inevitabili conseguenze di quel sei volte e mezzo in più di materia grigia presente nel cervello uomo! Estrema disponibilità e comprensione, abilità di gestire in contemporanea caffè, bambini e altre mille faccende? Frutto della strutturazione e della quantità di materia bianca nel cervello femminile! Studi e conclusioni che spesso hanno il retrogusto di strumentalizzazione scientifica volta a definire oggettivamente una differenza di genere che giustificasse una gerarchia intellettuale o collocasse inderogabilmente gli uomini o le donne “al loro posto”.
Ma le scoperte nel campo sono ancora lontane dall’essere definitivamente categorizzanti. La famosa efficienza multisettoriale sincrona attribuita al genere femminile, potrebbe altro non essere che una questione di abitudine da esperienza, più che di struttura mentale.
Che siano di origine ormonale come riportano i risultati delle ricerche di Bruce McEwen dell’università Rockefeller, o dovute alla diversa struttura del cervello come nei lavori di Lerry Cahill della University of California, differenze nel cervello maschile e femminile ci sono. In un campo però dove queste coesistono con le somiglianze, è difficile ridurre la complessità ad un’unica semplice definizione liquidandola con un “più portato per…”. Cordelia Fine, psicologa dell’università Macquarie, a Sidney, e Rebecca Jordan-Young, docente di medicina sociale al Barnard College di New York, cercano di farsi strada seguendo e analizzando i principali risultati fin qui raggiunti della scienza, cercando di liberare la strada dalle conclusioni semplicistiche che hanno più di fiction che di scienza.