SALUTE – Con la terapia genica si riparano le cellule cardiache difettose.
Disclaimer: lo studio di cui si parla qui è stato condotto in vitro e su modelli animali (porcellini d’India) ed è un primo, preliminare, passo che richiede ancora anni di sperimentazione prima di approdare all’essere umano. Questa è un’informazione che non si ripete mai abbastanza quando si parla di questo tipo di studi ed è bene esplicitarla fin dall’inizio. Ciononostante, la tecnica è così semplice, ingegnosa e il risultato così evidente, che ritengo valga la pena di parlarne.
La terapia genica continua a colpire al centro dei suoi bersagli (dopo un inizio faticoso) e si conferma uno degli orizzonti vicini e più promettenti dela ricerca medica d’avanguardia. Un esempio è questo recentissimo risultato ottenuto da un gruppo di scienziati dell’Istituto per il cuore Cedars-Sinai di Los angeles, pubblicato online una manciata di giorni fa sulla rivista Nature Biotechnology (sul cartaceo lo trovate dall’8 gennaio 2013). Avrete certamente sentito parlare di pacemaker: si tratta di un dispositivo elettronico che viene impiantato nel cuore di pazienti il cui ritmo cardiaco diventa difettoso, al fine di ristabilire il ritmo normale, scongiurando complicazioni fino alla morte. In realtà ogni cuore umano possiede un suo proprio pacemaker naturale: sui tratta di un gruppetto di cellule speciali (circa 10.000, dette SAN, da Sino Atrial Node) poste sopra l’atrio destro che mandano segnali ritmici e ordinati che regolano l’attività di contrazione e rilasciamento delle cellule muscolari dell’intero cuore. Con il passare del tempo (o per altri problemi) può succedere che queste cellule si deteriorino, da qui la necessità di intervenire con un aggeggio artificiale, che però porta con sè alcuni problemi: può dare rigetto, le batterie si possono esaurire, si può guastare, eccetera.
Quello di Cho non è il primo tentativo di creare un pacemaker biologico – per esempio si era tentato di intervenite con le cellule staminali embrioniche che però portano con sé il rischio di contaminare il cuore con cellule cancerogene. La tecnica di Cho invece si basa sulla terapia genica e cioè sull’inserimento di un singolo gene all’interno delle cellule cardiache sane per “riprogrammarle” facendole diventare cellule pacemaker. L’inserimento viene fatto grazie all’idea ingegnosa di usare un virus (“svuotato” e reso innocuo) come navicella di trasporto: i virus infatti possiedono un meccanismo biologico che permette loro di inserirsi nel DNA delle celluele che attaccano per inserire il proprio materiale genetico all’interno di quello ospite (e questo è il modo in cui si riproducono). Il gene inserito nelle cellule muscolari (in vitro e direttamente nelle cavie) si chiama TBx18 e svolge normalmente un ruolo cruciale nello sviluppo delle cellule pacemaker.
Per Cho il risultato ottenuto è stato esaltante. Sono infatti ben dieci anni che lo scienziato sta perseguendo questa linea di studi e osservare che in cinque su sette porcellini d’India testati (modelli animali con un disturbo bradicardico) i battiti regolari si sviluppavano naturalmente è stata una gran bella conquista. In vivo e in vitro le cellule, prima muscolari, sviluppavano in pochi giorni un’attività elettrica fisiologicamente indistinguibile dalle cellule SAN, e mostravano anche caratteristiche morfologiche ed epigenetiche indistinuguibili dalle cellule pacemaker.
La strada per la sperimentazione umana come già detto è lontana, ma c’è una nota positiva: il gene inserito nei roditori è umano, il che accorcia un pochino la strada da percorrere.