Diverse nuove evidenze archeologiche, raccolte in 13 siti differenti e presentate sulla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences USA, farebbero propendere per la seconda ipotesi: in primo luogo, infatti, i resti palinologici (pollini fossili) indicano una massiccia presenza di mais nei suoli localizzati datati in quel periodo nell’area di studio, indicante una sua probabile coltivazione diffusa. Inoltre, sia i coproliti umani (escrementi fossili) che gli strumenti litici contengono elevate concentrazioni delle sostanze presenti in questo alimento, ad ulteriore dimostrazione del consumo abituale da parte delle popolazioni del tempo. Secondo gli autori dello studio, i risultati forniscono quindi concrete prove che il mais fosse ampiamente coltivato, venisse processato e lavorato per poi essere consumato come principale componente della dieta.
Come le altre grandi civiltà del passato del ‘vecchio mondo’ (Mesopotamia, Egitto, India e Cina), anche in questo caso l’addomesticamento delle piante a scopo alimentare garantì una solida base economica tale da consentire l’origine e il successivo fiorire di una complessa società centralizzata.
Riferimento:
Jonathan Haas, Winifred Creamer, Luis Huamán Mesía, David Goldstein, Karl Reinhard, and Cindy Vergel Rodríguez. Evidence for maize (Zea mays) in the Late Archaic (3000–1800 B.C.) in the Norte Chico region of Peru. PNAS, February 25, 2013 DOI: 10.1073/pnas.1219425110
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