“Mangia meno, mangia meglio, fai più sport”
Consigli come questi sono difficili da accettare: ci fanno sentire vulnerabili e venire poca voglia di seguirli. Ma un modo c'è, è la teoria dell'autoaffermazione
SALUTE – Quando qualcuno ci dà un consiglio, persino con le migliori intenzioni e magari un tono delicato e sensibile, spesso ce la prendiamo comunque. E parecchio, perché ci fa sentire deboli. Passiamo subito sulla difensiva e, persino se siamo consapevoli che ascoltare il suggerimento ci farebbe molto bene, il nostro stato d’animo prende il sopravvento e non lo seguiamo. Sono circostanze che si verificano tutti i giorni, basta pensare a quando il medico consiglia di fare più sport, o il nostro compagno/a ci fa notare che dovremmo smettere di mangiare schifezze e provare a seguire un’alimentazione più sana.
Pensando più in grande, un po’ come dovremmo ragionare sempre, se seguissimo questi consigli (e gran parte delle ragionevoli “buone pratiche” per il cibo, lo sport, ecc) staremmo tutti molto meglio. Perciò capire in che modo parlare, per esempio, a un paziente, può essere molto utile per un dottore che cerca di fargli capire come tutti gli accorgimenti che gli consiglia non siano altro che un toccasana per lui. Come fare? Secondo una nuova ricerca pubblicata su PNAS, la chiave è la self affirmation theory, la teoria dell’autoaffermazione.
Secondo questa teoria, quando una persona riflette su dei valori che ritiene importanti diminuisce la sua tendenza a reagire male o stressarsi quando qualcuno “minaccia” la percezione che ha di sé, il suo modo d’essere. L’autoaffermazione permette di gestire meglio le informazioni che arrivano dall’esterno, anche se non troppo gradite, e diminuisce la resistenza a seguirle. In questo modo, secondo lo studio guidato da Emily Falk della Annenberg School for Communication, il cervello diventa più disponibile a seguire quei consigli che normalmente trova duri da accettare.
La teoria non è nuova agli psicologi, che la sfruttano per migliorare la condizione dei pazienti, sia aiutandoli a eliminare i comportamenti nocivi per la salute, sia spingendoli a sfruttare lo “slancio positivo” per migliorare le performance accademiche, i risultati di tutti i giorni. Si tratta insomma di un ampio range di possibili applicazioni. “L’autoaffermazione comprende la riflessione sui valori più importanti”, spiega Falk. Riflettere può aiutare le persone a vedere quei messaggi che normalmente trovano minacciosi come informazioni di valore, utili per loro. Perché è il cervello stesso a processarli in modo differente.
Insieme ai colleghi, Falk ha utilizzato l’fMRI, l’imaging a risonanza magnetica funzionale, per esaminare una parte del cervello umano coinvolta proprio nel processamento delle informazioni utili per sé stessi: il VMPFC, la corteccia prefrontale ventromediale. I cervelli in questione erano quelli di un gruppo di 67 persone adulte tutte molto sedentarie, alle quali erano stati dati gli stessi consigli che un qualsiasi dottore dispenserebbe dopo una visita. Ad esempio “le persone che passano meno tempo sedute sono meno a rischio per determinate malattie”.
Gli scienziati hanno notato che quando le persone venivano guidate in un percorso di autoaffermazione (prima di ricevere il consiglio) il VMPFC mostrava un livello di attività molto più intenso, e nel mese seguente si impegnavano parecchio per essere meno sedentarie. Al contrario, chi riceveva solamente il consiglio senza altri “spunti di riflessione” non mostrava cambiamenti nel VMPFC, né nel comportamento. Durante il periodo seguente la prima seduta di imaging, tutte le persone ricevevano regolarmente messaggi come “secondo l’American Hearth Association, le persone al tuo livello di sedentarietà sono molto più a rischio di incorrere in patologie cardiache”, oppure “dopo essere stato seduto per un’ora alzati per cinque minuti mentre leggi, guardi la TV, parli al telefono o pieghi la biancheria”. Chi veniva portato verso l’autoaffermazione riceveva anche messaggi come “pensa a un momento in cui aiuterai una persona cara o un familiare a raggiungere un obiettivo”.
Studiare l’attività cerebrale a livello del VMPFC mentre si ascolta un consiglio medico può aiutare a predire un cambiamento nel comportamento molto più di quanto possano fare le intenzioni del paziente stesso: ora sappiamo perché, spiega Falk. “Aprire” il cervello in questo modo potrebbe essere la chiave. “Eravamo particolarmente interessati a usare l’autoaffermazione per aiutare le persone a diventare più attive perché la sedentarietà è una delle minacce sanitarie più grandi, non solo per gli americani ma per tutto il mondo”. E può contribuire a causare svariati problemi di salute, come il diabete, patologie che interessano il cuore e tumori.
Condurre una vita un po’ più attiva, prestandovi attenzione ogni giorno, ha un impatto importante sulla salute sia fisica che mentale. “Qualcosa di così semplice come riflettere sui valori che riteniamo importanti può cambiare moltissimo il modo in cui il nostro cervello risponde a quel tipo di messaggi in cui ci imbattiamo ogni giorno”, conclude Falk. “Questo, nel tempo, potrebbe avere un enorme impatto”.
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