SPECIALI

La nuova dimostrazione dell’azione a distanza “quantistica”

Fino alla fine dell'anno OggiScienza racconterà le ricerche più importanti del 2015

17239561482_2f2abfbdee_z
SPECIALE DICEMBRE – Dopo circa ottanta anni, sono stati pubblicati nuovi dati che confermano la teoria di “azione a distanza” della meccanica quantistica: i risultati sono stati analizzati in un articolo su Science e li riprendiamo in occasione dello speciale sulle più importanti scoperte scientifiche del 2015.

L’entanglement quantistico, noto anche come teoria di azione a distanza, è un particolare fenomeno quantistico per cui una particella acquista istantaneamente una proprietà a causa della misura della stessa proprietà su un’altra particella, anche se le due particelle sono lontane fra di loro. Un fenomeno così strano e antintuitivo che fu messo in discussione da Albert Einstein e altri due ricercatori, già nel 1935 e che è stato riconfermato oggi.

Com’è nata la discussione attorno a questo tema?

Negli anni Trenta del Secolo scorso uno dei dilemmi più ricorrenti della fisica riguardava come interpretare i risultati quantistici ed è in quel periodo che si è sviluppata l’Interpretazione di Copenaghen, ovvero la spiegazione della meccanica quantistica maggiormente accettata a livello scientifico, basata soprattutto sugli studi dei fisici Niels Bohr e Werner Karl Heisenberg.

L’interpretazione non convinceva tutti e ne nacquero discussioni accese che sfociarono in un famoso articolo pubblicato da Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen e noto come paradosso EPR. In questo testo, pubblicato nel 1935, veniva presentato un esperimento mentale per dimostrare come la meccanica quantistica, per quanto porti a risultati interessanti, sia incompleta.

Al centro del paradosso vi è proprio l’entanglement quantistico accennato poco sopra in quanto, secondo Einstein, una particella deve avere una certa proprietà indipendentemente dalla misurazione di essa o di un’altra particella in un’altra posizione. Gli effetti istantanei su diverse particelle sarebbero quindi incompatibili col principio di località e in particolare con un postulato cardine della relatività ristretta che impone la velocità della luce come velocità limite. Assumendo questo principio come vero, secondo gli autori, il paradosso si potrebbe risolvere solamente facendo decadere il principio di realtà, cosa non possibile, o ritenendo la teoria quantistica incompleta, presupponendo l’esistenza di variabili nascoste ancora da scoprire.

Avevano ragione?

Purtroppo per loro no. Infatti il fisico John Bell, nel 1964, dimostrò, in quello che è ricordato come principio della disuguaglianza di Bell, che il principio di località che Einstein aveva considerato non funzionava nella meccanica quantistica.

Nei decenni a seguire sono stati numerosi gli scienziati che hanno cercato di verificare questa disuguaglianza: uno di questi è stato Alain Aspect che nel 1981 è riuscito a provare che le correlazioni misurate seguono le previsioni della meccanica quantistica, verificando il fenomeno non locale dell’entanglement e confutando sia l’ipotesi di variabili nascoste nella meccanica quantistica che il principio di località, alla base del paradosso EPR.

Nel 2015, altre due dimostrazioni sul tema. La prima risale a Marzo 2015, con un esperimento innovativo, di cui abbiamo parlato anche qui su OggiScienza, e che per la prima volta ha utilizzato un solo fotone (e non due) come apparato sperimentale: l’esperimento, i cui risultati sono stati pubblicati su Nature Communication da un team di ricercatori delle Università di Tokyo, Varsavia e Brisbane, è basato su un fotone sparato su uno specchio e su due osservatori, posti da una parte e dall’altra rispetto allo specchio. In questo modo si è dimostrato che, a livello microscopico, esiste una sovrapposizione di stati, in questo caso di fotone e assenza di fotone.

Nel secondo articolo invece, che risale a fine Agosto 2015l’esperimento è stato svolto con due fotoni in due differenti laboratori del campus di Delft (Olanda), a 1,28 chilometri di distanza l’uno dall’altro. Quando i fotoni venivano sparati verso una terza posizione, i ricercatori avevano “addirittura” 4.27 microsecondi per eseguire entrambe le misure, prima che un segnale alla velocità della luce si spostasse da una stazione all’altra. Grazie a questo esperimento si è riuscito a dimostrare nuovamente il principio di Bell, ma senza dover fare assunzioni supplementari come si era dovuto fare in passato.

Perché è tanto interessante l’entanglement quantistico? Non solo perché è un argomento affascinante, ma perché, come la meccanica quantistica in genere, può fornire informazioni fondamentali per la realizzazione di dispositivi all’avanguardia come sensori, simulatori e strumenti di comunicazione.

@FedeBaglioni88

Leggi anche: La dualità quantistica colta in flagrante

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: GollyGforce, Flickr

Condividi su
Federico Baglioni
Biotecnologo curioso, musicista e appassionato di divulgazione scientifica. Ho frequentato un Master di giornalismo scientifico a Roma e partecipato come animatore ai vari festival scientifici. Scrivo su testate come LeScienze, Wired e Today, ho fatto parte della redazione di RAI Nautilus e faccio divulgazione scientifica in scuole, Università, musei e attraverso il movimento culturale Italia Unita Per La Scienza, del quale sono fondatore e coordinatore. Mi trovate anche sul blog Ritagli di Scienza, Facebook e Twitter @FedeBaglioni88