SCOPERTE

I geni che influenzano la durata del sonno

Uno studio condotto sul moscerino della frutta ha fatto luce su alcune componenti genetiche associate alla necessità di dormire più o meno ore.

Non tutti abbiamo bisogno dello stesso numero di ore di sonno. Una differenza in parte associata a una componente genetica. Crediti immagine: Public Domain

SCOPERTE – Perché alcune persone hanno bisogno di dormire più di otto ore e per altre ne bastano meno di sei? Da cosa dipendono queste differenze? Uno studio pubblicato su PLOS Genetics fa luce su uno degli aspetti di questa variabilità, legata almeno in parte a una componente genetica.

La ricerca, condotta sul moscerino della frutta, ha permesso di identificare 126 polimorfismi in 80 geni, che potrebbero essere correlati alla durata del sonno. Gli scienziati del National Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI), un istituto del NHI, hanno incrociato 13 generazioni di drosofila fino a ottenere individui long sleeper, che dormivano fino a 18 ore al giorno, e individui short sleeper, che dormivano 3 ore al giorno. Un aspetto interessante di questo risultato – spiega in un comunicato Susan Harbison, prima autrice dello studio – è che gli individui sono stati generati utilizzando materiale genetico presente in natura e non modificando il DNA in laboratorio attraverso mutazioni specifiche: fino a questo momento, non era mai stata dimostrata l’esistenza di casi così estremi tra popolazioni naturali.

Questa scoperta si inserisce tra le indagini che cercano di rispondere a uno degli enigmi classici della biologia: perché dormiamo? Secondo quanto riportano gli studi condotti finora, il sonno ci permette di conservare le risorse energetiche, favorisce la sintesi proteica, agisce sulla plasticità cerebrale per stimolare il consolidamento dei ricordi ed elimina i rifiuti metabolici del cervello. I geni che nella drosofila sono stati associati alla variazione della durata del sonno sono coinvolti in varie ed importanti vie di comunicazione cellulare: alcuni di essi, per esempio, hanno una funzione in processi legati allo sviluppo cerebrale, all’apprendimento e alla memoria. I risultati pubblicati su PLOS Genetics sono quindi in linea con le ipotesi precedenti e potrebbero spiegare per quale motivo sia così difficile definire un’unica ragione evolutiva alla base del sonno.

Il sonno è un comportamento molto conservato, anche se il numero delle ore varia tra diverse specie e anche all’interno della stessa specie. Soggetti imparentati hanno abitudini più simili di quanto non avvenga tra estranei, a conferma della presenza di una componente genetica. I parametri sono però influenzati anche dalle condizioni ambientali: le fregate, un genere di uccelli diffusi nelle regioni tropicali, sono in grado di dormire meno spesso e meno intensamente quando migrano attraverso gli oceani. Gli scolopacidi possono ridurre le ore di sonno durante il periodo dell’accoppiamento. Anche le mamme e i cuccioli di alcuni mammiferi marini riescono a fare a meno di qualche ora di riposo, mentre nelle mosche il sonno notturno è influenzato dalla latitudine. In altre parole, i geni determinano il range entro il quale è possibile adattarsi senza che vi siano conseguenze negative per la salute dell’individuo. Nel caso delle drosofile studiate dai ricercatori del NHLBI, gli individui long e short sleeper avevano una vita media paragonabile a quella dei moscerini con abitudini di sonno regolari. Secondo gli scienziati, quindi, le conseguenze fisiologiche di queste alterazioni possono essere considerate trascurabili.

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Francesca Camilli
Comunicatrice della scienza e giornalista pubblicista. Ho una laurea in biotecnologie mediche e un master in giornalismo scientifico.