A Trieste si studia la fisica dei modelli analoghi di gravità
Buchi neri, radiazione di Hawking, inflazione cosmologica: ecco come i modelli analoghi di gravità permettono di studiare fenomeni estremamente complessi
TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA – Lo spaziotempo è un concetto fisico che combina le nostre classiche nozioni di spazio e tempo distinti tra loro, considerandoli invece come un’unica entità omogenea. L’introduzione dello spaziotempo è una conseguenza diretta della teoria della relatività ristretta di Einstein: permette di descrivere l’universalità del moto dei corpi sotto l’influenza della forza di gravità, proprio come manifestazione della curvatura dello spaziotempo.
Ma come possiamo studiarlo? I fisici spesso utilizzano i cosiddetti modelli analoghi di gravità. Ne abbiamo parlato con Stefano Liberati, professore ordinario alla SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) di Trieste.
Cosa sono i modelli analoghi di gravità e a cosa servono?
La fisica della materia condensata studia la struttura della materia in tutte le sue forme e le proprietà che queste forme possono avere. In alcuni sistemi di materia condensata, ad esempio nei superfluidi, le perturbazioni sul fluido si propagano seguendo le stesse leggi matematiche che descrivono la propagazione della materia in un dato spaziotempo, dove la geometria di quest’ultimo è determinata dalle proprietà del fluido (ad esempio la densità o la sua velocità). Questi sistemi si chiamano sistemi analoghi della gravità e si possono quindi usare per simulare la dinamica della materia – classica o in alcuni casi anche quantistica – in spaziotempi curvi, ovvero in geometrie che descrivono l’azione della forza di gravità.
Un esempio di modello analogo è l’esperimento ideato da Silke Weinfurtner, al momento ricercatrice a Nottingham, quando lavorava con lei alla SISSA. Di cosa si trattava?
Assumiamo di costruire una grande vasca in cui mettiamo un fluido, ad esempio acqua, e di mettere al centro, sul fondo della vasca, uno scarico. L’acqua fluirà velocemente attraverso questo foro con velocità radiale crescente quanto più ci si avvicina allo scarico. In queste condizioni si può creare una regione, attorno al foro dello scarico, dove la velocità del fluido sarà maggiore di quella di possibili perturbazioni (onde) su di esso. Per tali onde l’interno di questa regione è di fatto una trappola dato che ogni perturbazione che provasse a propagarsi verso l’esterno verrebbe ricacciata verso l’interno dal fluire del liquido. Questa regione è quindi l’analogo di un buco nero per tali perturbazioni.
L’esperimento sviluppato in SISSA e concluso a Nottingham (qui il link al paper su Nature) consiste in una gigantesca vasca d’acqua con un foro di scarico sul fondo, in cui l’acqua è inserita da due condotti su lati opposti in modo da dare una rotazione a questo flusso. Tale rotazione permette di simulare un buco nero rotante. Attorno a tali buchi neri è previsto che si possa verificare, anche classicamente, ovvero senza chiamare in causa il principio di indeterminazione quantistico, un fenomeno per cui onde incidenti sul buco nero possano essere in parte assorbite ed in parte riflesse con una netta amplificazione, ovvero la parte riflessa ha più energia di quella incidente.
In questo caso l’energia acquistata dalla perturbazione in uscita è sottratta all’energia rotazionale del buco nero: questo fenomeno si chiama superradianza e sembra giocare un ruolo fondamentale anche in astrofisica nell’estrazione di energia dai buchi neri. L’esperimento ha proprio confermato la presenza di questo fenomeno nel sistema analogo al buco nero rotante.
Qualche anno fa eravamo andati a intervistare Silke Weinfurtner e altri colleghi che hanno lavorato al progetto, per capire meglio l’esperimento e cosa significhi studiare un buco nero in una vasca d’acqua. Vi siete occupati di altri modelli analoghi?
Io mi sono occupato molto di modelli analoghi basati su condensati di Bose-Einstein, ovvero stati ultra freddi della materia in cui vari atomi – bosonici, ovvero di spin intero – vanno ad occupare tutti lo stesso stato quantistico di energia minima. Questi sistemi, in certe condizioni, si comportano come superfluidi quindi vale quanto detto sopra, con il vantaggio che questi sono sistemi quantistici dove la materia che si propaga sullo spazio tempo analogo, i fotoni, ha proprietà quantistiche mentre le onde sull’acqua, ad esempio, non possono simulare fenomeni di natura quantistica.
Questo comportamento quantistico permette di simulare fenomeni molto interessati come ad esempio la radiazione di Hawking da buchi neri o la creazione di particelle durante l’inflazione cosmologica. In aggiunta mi sono interessato a questi sistemi anche come “toy models” per idee di gravità emergente, ovvero per l’ipotesi che lo spaziotempo e la sua dinamica, le equazioni di Einstein, emergano da un sistema di oggetti fondamentali quantistici, atomi di spaziotempo, diversi dai gravitoni.
In questo linguaggio lo spaziotempo non sarebbe veramente fondamentale così come non fondamentale è un fluido, e le equazioni di Einstein sarebbero analoghe alle equazioni della idrodinamica, anch’esse non fondamentali, ma emergenti da una dinamica più fondamentale ovvero quella delle molecole e degli atomi che compongono il fluido. Ci sono molti altri modelli analoghi che si possono studiare, con alcuni collaboratori ho scritto un articolo di rassegna molto completo sull’argomento (lo si può leggere qui).
Al momento a quali progetti lavora con il suo gruppo?
Al momento il progetto in cantiere è come simulare esattamente la geometria di un buco nero rotante soluzione delle equazioni di Einstein. Il buco nero rotante analogo, dell’esperimento di Silke, ha le proprietà salienti di un vero buco nero rotante ma non riproduce esattamente la geometria come prevista dalle equazioni di Einstein, anche se questo è irrilevante per riprodurre la superradianza.
Finora si pensava fosse impossibile avere un esatto analogo ma crediamo di aver dimostrato il contrario e dovremmo pubblicare i risultati a breve. Questo studio non sarà solo utile per i modelli analoghi della gravità ma forse anche per la simulazione al computer di fenomeni attorno a buchi neri rotanti.
CARTA D’IDENTITÀ
Nome: Stefano Liberati
Nato a: Roma 28/12/1970
Lavoro a: SISSA, Trieste
Formazione: Laurea alla Sapienza di Roma, Dottorato in Astrofisica alla SISSA, Postdoc negli USA (università del Maryland, Gruppo di Teoria della Gravitazione)
Il mio gruppo di ricerca: Sotto gruppo di Teoria della Gravitazione all’interno del PhD/Gruppo di Astroparticelle della SISSA (attualmente oltre me 4 studenti di PhD e un postdoc)
Cosa amo più del mio lavoro: Lavorare con gli studenti e capire ogni giorno cose nuove
La sfida principale del mio ambito di ricerca: Capire come conciliare la meccanica quantistica e la relatività generale e soprattutto come testare, con le attuali osservazioni ed esperimenti, le idee sul funzionamento di questa teoria della gravità quantistica.
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