Alzheimer e microbi: una storia che continua
Un batterio della bocca potrebbe avere voce in capitolo
L’ultimo capitolo lo scrivono i ricercatori dell’Università di Louisville (Kentucky, USA), che correlano la demenza senile alla presenza del batterio della parodontite cronica nel cervello. Lo studio è stato pubblicato su Science Advances.
“Ora abbiamo forti prove che collegano Porphyromonas gingivalis e la patogenesi dell’Alzheimer” afferma in un comunicato ufficale Jan Potempa (del Dipartimento di Immunologia orale e Malattie infettive nella Scuola di Odontoiatria), parte del team internazionale guidato dalla californiana Cortexyme, azienda farmaceutica privata in fase clinica. Il quale, però, puntualizza che l’evidenza di causalità è ancora tutta da provare.
“Un aspetto ancora più notevole di questo studio è la dimostrazione del potenziale di una classe di terapie molecolari che prendono di mira i principali fattori di virulenza per modificare il decorso dell’Alzheimer”, aggiunge Potempa.
Lo studio
Nei topi, l’infezione orale da Porphyromonas gingivalis ha portato alla colonizzazione del cervello e all’aumentata produzione di beta-amiloide (Aβ), una componente delle placche amiloidi comunemente associate con l’Alzheimer. Il gruppo di studio ha anche trovato gli enzimi tossici del batterio, le cosiddette gingipaine, nei neuroni dei pazienti con Alzheimer. Le gingipaine vengono secrete e trasportate sulle superfici esterne delle membrane batteriche ed è stato dimostrato che esse mediano la tossicità di Porphyromonas in svariati tipi di cellule.
L’equipe ha correlato i livelli di gingipaine con una patologia correlata a due marcatori: tau, una proteina necessaria per la normale funzione neuronale, e ubiquitina, una piccola etichetta proteica che contrassegna le proteine danneggiate.
Cercando di bloccare la neurotossicità dovuta al batterio, la Cortexyme ha deciso di progettare una serie di piccole terapie molecolari che prendono di mira le gingipaine di Porphyromonas gingivalis.
I risultati
In esperimenti preclinici i ricercatori hanno dimostrato che, inibendo la molecola COR388, si è riusciti a ridurre il carico batterico di un’infezione cerebrale da Porphyromonas, bloccare la produzione di Aβ42, ridurre la neuroinfiammazione e proteggere i neuroni nell’ippocampo (la parte del cervello associata alla memoria e che frequentemente si atrofizza nelle prime fasi di sviluppo dell’Alzheimer).
La Cortexyme ha annunciato i risultati della Fase 1b dei test clinici di COR388 all’11a edizione dei Clinical Trials in Alzheimer’s Disease Conference nell’ottobre 2018: diversi test cognitivi in pazienti affetti da Alzheimer hanno dato risultati con tendenze positive. E per il 2019 l’azienda progetta di avviare uno studio clinico di fase 2 e 3 in casi di Alzheimer da lievi a moderati.
Altri precedenti su demenza senile e microbi riguardavano una ricerca del 2016 pubblicata sul Journal of Alzheimer’s Research, il quale evidenziava come oltre un centinaio di studi collegasse la presenza di virus e batteri (come l’herpes simplex di tipo 1, o un batterio che causa la polmonite) alla malattia neurodegenerativa.
Nello stesso anno, un altro lavoro diffuso su su Neurobiology of Aging e firmato da ricercatori del Fatebenefratelli di Brescia indagava la correlazione tra batteri intestinali e Alzheimer.
Insomma, sembra che battendo questa strada si potranno trarre interessanti spunti per comprendere le cause della demenza senile.
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