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Per favore non mordermi la foglia

Carote, fagioli, radicchio, fragole: di fronte a un bel piatto di frutta o verdura non ci facciamo mai alcuno scrupolo etico. Eppure, anche le piante – che tanto lottano per sopravvivere – preferirebbero evitare le nostre fauci.

COSTUME – Prima o poi capita a tutti i vegetariani, per non parlare dei vegani. Durante una cena tra amici o davanti alle tartine di un happy hour, c’è sempre un provocatore che si avvicina al vegetariano – in palese difficoltà mentre cerca di capire se la mousse è di funghi o di paté – per chiedergli sogghignando: “Ma scusa, perché il maiale no e l’insalata sì? Che ti ha fatto di male la povera piantina?”. E rimane lì ad aspettare la risposta, con i denti affondati in un panino al prosciutto .

Con le spalle al muro – e sì, anche l’insalata, e pure le carote, il sedano e i finocchi, prima di finire in pinzimonio, erano vivi! – il vegetariano tenta un’appassionata difesa delle proprie scelte, tirando in ballo le sofferenze crudeli patite dagli animali allevati, la riduzione dell’impronta ecologica (gli allevamenti intensivi inquinano e sono un lusso da paese ricco) e così via. “Sarà”, commenta il provocatore, “ma credi che le piante non soffrano a venir sradicate da terra?”.

Certo l’argomentazione è grossolana, ma non infondata. E a darle nuova forza arriva ora un intrigante articolo pubblicato sul New York Times dalla giornalista scientifica Natalie Angier (che confessa pure una dieta sui generis: non mangia mammiferi, ma pesci e volatili sì). Angier ha intervistato vari scienziati che si occupano di biochimica e fisiologia vegetali, raccogliendo una nutrita serie di “testimonianze” sulle tante (e complesse) fatiche con cui le piante cercano di mantenersi in vita.

A differenza di un bufalo o di una lepre, una pianta ovviamente non può andarsene se si sente minacciata o si ritrova vicini fastidiosi, ma questo non significa che rimane lì a subire qualunque cosa. In base alla lunghezza d’onda della luce che colpisce le sue foglie, racconta Angier, una pianta capisce se intorno ci sono competitori che le rubano i raggi solari e orienta la propria direzione di crescita di conseguenza. E ancora: le piante possono rispondere a stimoli tattili (avete presente la mimosa pudica, che ritrae le foglie appena la sfiorate?) e possono percepire ed emettere segnali chimici nell’ambiente.

“Solo perché non possiamo sentirle, non significa che i vegetali non emettano grida strazianti”, scrive Angier. Supponiamo che un grasso bruco cominci a banchettare con una foglia: bene, la pianta colpita può allora emettere sostanze – le grida di aiuto – che attirano insetti predatori del bruco oppure parassiti che lo infettano, uccidendolo. Una strategia, quest’ultima, ben documentata di recente da ricercatori dell’Università di Wageningen, in Olanda, con i cavoletti di Bruxelles.

Insomma, che le piante soffrano è ben lontano dall’essere dimostrato, ma la questione è comunque di quelle davvero complesse: come ignorare tanta volontà di vivere? Per di più, da parte degli unici organismi che davvero non hanno bisogno di uccidere nessuno per mangiare!

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