“Storicamente”, racconta Marco Melacini, che al Politecnico di Milano si occupa di reverse logistic, “per ridurre l’impatto ambientale di questi prodotti si è cercato di responsabilizzare i produttori. L’idea è che più erano responsabilizzati, più avrebbero cercato di produrli con materiali più facilmente riutilizzabili e che una volta dismessi hanno effetti inquinanti minori”. La normativa europea prevede che i produttori si assumano la responsabilità dello smaltimento dei prodotti una volta che giungono alla fine della loro vita, provvedendo a un corretto trattamento di tutte quelle parti che contengono sostanze nocive e di quelle che possono essere riciclate. Idee che si sono concretizzate nella legge nota come “decreto RAEE”, ma che non sempre significa che lo smaltimento dei rifiuti elettronici sia economicamente sostenibile.
Marco Melacini, Alessandro Salgaro del Politecnico di Milano e Davide Brognoli di Avery Dennison Italia hanno elaborato un modello logistico, da poco pubblicato sull’International Journal of Logistics Systems and Management, che suggerisce come riciclare in maniera più efficiente i RAEE e renderlo un’attività sostenibile per le aziende. “Il focus del nostro lavoro”, spiega Melacini, “sono stati i prodotti di elettronica che vanno sotto il nome di elettrodomestici bianchi (frigoriferi, refrigeratori, lavatrici, ecc.), elettrodomestici bruni (personal computer, televisori e in generale tutti quegli apparecchi che contengono vetro o un tubo catodico) e i cosiddetti piccoli elettrodomestici”. Sono normalmente i consorzi a occuparsi della gestione dei RAEE, ma finora “gli studi si sono concentrati sul singolo consorzio”, prosegue Melacini, “che ha i propri punti di raccolta, possiede o si appoggia a un certo numero di impianti di smaltimento e deve organizzare il proprio network”.
Spesso, però, i singoli consorzi non riescono a raggiungere una massa critica di raccolta che permetta loro di guadagnare a sufficienza per continuare la propria attività. In più i comuni sono costretti ad avere rapporti con più di un consorzio, aumentando in questo modo i costi generali dello smaltimento. Se poi le aree di raccolta assegnate sono distanti tra di loro, oltre ai costi aumentano anche le difficoltà logistiche. In generale, la situazione attuale vede operatori che hanno quote di mercato molto importanti, ma con un’attività frammentate e dispersa su grandi aree geografiche. L’idea di Melacini e colleghi, quindi, è “cercare di assegnare ai consorzi un carico di lavoro concentrato in alcune aree geografiche, consentendo così di contenere i costi logistici complessivi e mantenendo viva la spinta all’innovazione”. Un passo successivo potrebbe essere quello di “cercare di mantenere nel tempo le stesse aree assegnate, offrendo ai comuni rapporti stabili nel tempo con gli operatori”. Semplice, come spesso sono le idee efficaci: tanti consorzi che lavorano in aree omogenee e che hanno rapporti economici stabili nel tempo. “Il nostro lavoro,” continua Melacini, “non entra nei dettagli economici, ma rimane una prospettiva – speriamo – originale che possa essere utile per guardare al problema”.