Ci sono voluti ben 11 anni per estrarre le scapole dal resto dello scheletro di Selam, rinvenuto nel 2000 a Dikika, in Etiopia, inglobato in un blocco di arenaria. D’altronde, i ritrovamenti di queste ossa sottili e fragili sono talmente rari da giustificare uno sforzo di tale portata.
Le scapole, una volta estratte, sono state digitalizzate da Green e Alemseged, utilizzando un microscribe, uno strumento in grado di realizzare scansioni tridimensionali. Gli studiosi hanno quindi raccolto tutta una serie di misurazioni sistematiche che hanno permesso loro di mettere in relazione forma e funzione delle ossa, comparandole alle poche scapole note di altri antichi nostri progenitori. Nell’analisi comparativa sono state incluse come controllo anche scapole di esemplari giovani e adulti delle scimmie antropomorfe e di esseri umani attuali. I risultati dello studio delle forme e delle funzioni hanno messo in evidenza che le scapole di Selam erano più marcatamente “scimmiesche” che umane, suggerendo che fosse ancora adattata a una vita in parte arboricola. Come Selam, tutti i membri della specie Australopithecus afarensis, nonostante l’andatura già bipede (più o meno goffa che fosse), erano dunque dei provetti arrampicatori.
Questa scoperta, nelle parole di Alemseged, “conferma il posto cruciale che questa specie occupa nell’evoluzione umana”. E suggerisce che i nostri antenati potrebbero esser “scesi dagli alberi” molto più tardi di quanto molti studiosi hanno creduto finora.
Ma se ancora Selam e Lucy conducevano una vita in parte arboricola, quando si adattarono del tutto alla vita terrestre? L’obiettivo dei paleoantropologi, nei prossimi anni, sarà tentare di avvicinarsi di più alla giusta risposta per questa domanda.
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