Già da tempo i medici ritengono fondata l’ipotesi che esista un origine biologica di questo disordine e uno studio australiano pubblicato su Biological Psychiatry rientra in questo filone. Il team di Philip Mitchell, dell’Università del New South Wales primo autore della ricerca ha osservato, tramite una risonanza magnetica funzionale, una differenza nel funzionamento cerebrale di alcuni giovani soggetti considerati a rischio. Questi ragazzi non mostravano alcun sintomo, ma avevano una storia di familiarità per il disturbo. In letteratura infatti è noto che esiste una predisposizione familiare (e quindi presumibilmente una base genetica) per il disordine bipolare e il team australiano ha voluto cercare se esistono dei “segni” che si possano associare alla malattia prima che questa appaia.
Nei testi i soggetti osservavano dei visi con espressioni emotivamente cariche o neutre. L’attività cerebrale monitorata con la risonanza ha mostrato che i soggetti a rischio avevano un attivazione meno marcata nelle aree che sono note avere un ruolo nela regolazione delle risposte emotive. Conoscere dati di questo genere è importante per identificare con maggiore correttezza le persone che potranno sviluppare in seguito un disturbo e interventre precocemente al fine di migliorare la loro qualità della vita.