Il team, coordinato dal Prof. Ruggero De Maria dell’Istituto Nazionale Tumori e dal Prof. Giorgio Stassi dell’Università di Palermo, ha studiato lo sviluppo di metastasi in pazienti operati di tumore al colon, anche se – sottolinea lo stesso De Maria – lo stesso meccanismo si sta riscontrando in altre forme tumorali, come nel caso di cancro alla mammella.
“Lo studio – spiega De Maria – si inserisce in un percorso di ricerca sui processi metastatici lungo dieci anni, ma solo oggi abbiamo finalmente compreso quali sono i punti deboli di queste cellule che una volta partite dai tumori primitivi raggiungono altri organi andando a formare le metastasi. E ora che abbiamo compreso meglio quali sono questi momenti di debolezza delle cellule, siamo pronti per costituire una terapia mirata a combatterle. Quando queste cellule cominciano a migrare dal tumore primitivo ad altri organi e prima che formino un tumore secondario, infatti, queste cellule sono maggiormente vulnerabili, ed è proprio questo il momento in cui vanno attaccate e distrutte” conclude De Maria.
Secondo i risultati del lavoro pubblicato sulla rivista Cell Stem Cell, finanziato dall’AIRC e a cui ha preso parte anche l’Istituto Superiore di Sanità, la capacità delle cellule staminali maligne di migrare e dare origine a forme metastatiche è dovuta alla presenza di un recettore cellulare denominato CD44v6: una volta disattivato questo recettore, viene meno la capacità del tumore di dare origine alle metastasi.
“L’elemento più importante da sottolineare – spiega De Maria – è proprio l’individuazione di questo recettore, CD44v6, che agisce da interruttore per la migrazione cellulare e la formazione delle metastasi. Abbiamo analizzato 500 pazienti, dopo l’asportazione del tumore primitivo, e abbiamo rilevato che i tumori che avevano livelli elevati di CD44v6 si sono poi rivelati quelli con maggior probabilità di sviluppare metastasi.” La strategia messa in atto dal punto di vista pratico è quindi quella di un test clinico, che sarà possibile eseguire dopo l’asportazione del tumore primitivo, o volendo anche in fase di biopsia, per accertare il livello di CD44v6, e determinare il grado di possibilità di formazione di metastasi: più alto è il livello, maggiore la probabilità che le cellule staminali maligne comincino a migrare. “Il test è appena stato fissato – precisa De Maria – ma verrà al più presto condotto routinariamente.”
Per quanto riguarda i tempi previsti per la messa in pratica di queste scoperte non bisognerà attendere molto. Come da accordo con l’AIRC, che ha stanziato i fondi per la ricerca, i risultati di questo studio verranno messi in pratica in tempi brevi: all’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena è infatti in preparazione una sperimentazione clinica finalizzata a prevenire la formazione di metastasi con dei nuovi farmaci che agiscono direttamente sulle cellule staminali del tumore del colon. “La sperimentazione clinica è atta a prevenire la formazione di metastasi – conclude De Maria – non per curare le patologie metastatiche avanzate, e le aziende farmaceutiche con cui siamo in contatto, stanno lavorando in questa direzione. L’unico ostacolo è rappresentato dal fatto che la regola per la sperimentazione clinica di questo tipo di farmaci dice che dovrebbero prima di tutto rivelarsi efficaci contro i tumori già metastatici, problema tecnico che stiamo cercando di superare, in modo da partire con i trial clinici al più presto, come richiesto dall’AIRC.”
Crediti immagine: Istituto Nazionale Tumori Regina Elena