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Medioevo: l’amore per le pellicce potrebbe aver diffuso la lebbra

È possibile che la lebbra nel medioevo abbia proliferato nell’Inghilterra Sud-orientale a causa dei contatti con costose pellicce e carne di scoiattolo, che venivano commerciati dai vichinghi.

SCOPERTE – La popolarità delle pellicce di scoiattolo e della carne del piccolo mammifero, nel Regno Unito del Medioevo, potrebbe essere costata la lebbra a molte persone. È lo scenario presentato da un nuovo studio sul The Journal of Medical Microbiology, che ha trovato un ceppo di Mycobacterium leprae, l’agente eziologico della lebbra, nei resti del cranio di una donna. Ribattezzata “The Woman from Hoxne” (la donna di Hoxne) si tratta di uno dei sempre più numerosi casi di lebbra identificati dalle analisi sui resti umani nel territorio dell’Anglia orientale.

In base ai dati raccolti dagli scienziati questa regione – che comprende parte della contea di Cambridge, del Norfolk e del Suffolk – potrebbe essere stata l’epicentro di una grave epidemia di lebbra che si è diffusa in Inghilterra durante il Medioevo. Ma chi ha portato il ceppo sulla costa britannica? Il dito è puntato sul commercio di pellicce provenienti dalla Scandinavia, in particolare quelle di scoiattolo, una specie nota per veicolare M. leprae (chiamato anche bacillo di Hansen, in onore del medico norvegese che lo ha scoperto nel 1873) e che subisce dalla lebbra più o meno gli stessi effetti degli esseri umani: gravi lesioni al muso, alle orecchie e alle zampe.

Può trattarsi di un caso, forse in questa parte dell’attuale Regno Unito sono stati fatti più scavi archeologici dunque rinvenuti più resti? Non secondo gli autori dello studio: in altre contee come Dorset e Hampshire si è scavato altrettanto e sono stati trovati cimiteri della stessa stregua, ma i resti non hanno permesso di confermare alcun caso di lebbra.

A insospettire i ricercatori di fronte al cranio della donna, conservato al Diss Museum nel Norfolk, sono stati proprio i danni visibili riportati nell’area nasale, segni tipici della lebbra. Nella forma nota come lepromatosa, infatti, in prossimità delle cavità nasali si formano delle placche che possono deturpare il naso e poi il volto intero, fino a portare alla cosiddetta facies leonina (“faccia da leone”).

Il cranio della donna affetta da lebbra. Fotografia di Sarah Inskip

La datazione al radiocarbonio ha permesso di scoprire che la donna ha vissuto probabilmente tra l’885 e il 1015, che mangiava soprattutto grano, orzo e zuppe con un piccolo apporto di proteine animali. Dalle analisi del DNA antico estratto dal suo cranio sono emerse anche le tracce di M. leprae e oggi i ricercatori sono in grado di immaginare come la malattia abbia influenzato la sua vita: i danni subiti dal volto erano probabilmente in uno stato avanzato, al momento della morte, ed è probabile che i nervi di braccia e gambe avessero subito gravi danni.

Il ceppo del batterio trovato nel cranio è lo stesso che i ricercatori avevano identificato in altri resti provenienti dalla stessa zona, ma non sempre dello stesso periodo, come lo scheletro di un uomo vissuto diversi secoli prima. In quest’area l’epidemia ha probabilmente continuato a diffondersi per varie centinaia di anni, spiega la prima autrice dello studio Sarah Inskip, del St John’s College di Cambridge. “Queste nuove evidenze si associano alla prevalenza di ospedali per la lebbra nell’Anglia orientale a partire dall’XI secolo e supportano l’idea che la malattia fosse endemica in questa regione, prima di diventarlo in altre parti del paese”.

Lo stesso ceppo di lebbra è stato trovato anche in resti rinvenuti in Danimarca e Svezia, ed è uno degli aspetti che hanno portato gli scienziati sulla pista delle pellicce. Gli scambi commerciali sul mare del Nord potrebbero spiegare la diffusione, perché “è possibile che questo ceppo abbia proliferato nell’Inghilterra Sud-orientale a causa dei contatti con costose pellicce e carne di scoiattolo, che ai tempi in cui questa donna era viva venivano commerciati dai vichinghi. Durante il Medioevo le rotte commerciali con Svezia e Danimarca erano al loro massimo splendore”, aggiunge Inskip.

Prendersi la lebbra da un animale vi sembra cosa d’altri tempi, appunto, medievale? Sbagliate. Tra 2015 e 2016 in Florida più persone hanno contratto la lebbra e, ogni anno, si registrano dai due ai dieci casi. Secondo gli esperti è probabile che a trasmetterla siano gli armadilli, ma è difficile andare a fondo della questione: il periodo di incubazione del batterio può durare parecchi anni e risalire alla fonte del contagio si fa problematico.

Resta anche da chiarire quanto il batterio riesca a sopravvivere: non sappiamo se sia al 100% possibile veicolarlo tramite la carne o la pelliccia di animali morti, ma “a volte gli scoiattoli erano anche tenuti come animali domestici”, aggiunge Inskip.

@Eleonoraseeing

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