Ogni capitolo è introdotto da ricordi di Esumim, se non s’indovina il senso dell’acronimo non importa: è svelato alla fine. Milioni di anni per gamba ma ancora arzillo, sfoglia “l’album di famiglia” delle specie ominine. Sboccato, maschilista, a volte nostalgico dei tempi e dei paesaggi che furono, a volte esploratore spavaldo, più invecchia meno capisce cosa spinge “i giovani d’oggi” ad andarsene.
Siccome gli spiacerebbe perdersi una nuova avventura, li segue lo stesso.
I lettori seguono lui, migrazione dopo migrazione, insieme a quelli che immaginano un posto migliore per viverci, lo trovano o se lo costruiscono. Poeti e sognatori, naviganti qualcuno, santi nessuno e pionieri tutti. I primi a scendere dagli alberi, camminare sugli arti posteriori, uscire dall’Africa, raggiungere in barca, in barca!, le isole dell’Oceania. I primi ad attraversare le Americhe da nord a sud in “pochi millenni” a piedi.
E poi ci sono gli Esquimesi.
Arrivati a piedi anche loro.
E la storia non finisce qui.
Esumin non ricorda di preciso com’è andata, ogni tanto si contraddice. D’altronde fino alla scrittura le testimonianze sono poche e incerte. Però di recente qualcosa si è imparato da reperti fossili, da varianti di geni antichi e moderni (anche da quelli dell’Helicobacter pylori, un batterio presente nello stomaco di metà della popolazione attuale), dalle lingue, dai manufatti, dalle impronte lasciate nelle ceneri vulcaniche da australopitechi grandi e da piccoli che cercavano di mettere i piedi nelle orme dei grandi.
Quella camminata di 3,6 milioni di anni fa è stata in parte ricostruita dall’antropologo Giorgio Manzi che ne parla in Ultime notizie sull’evoluzione umana (il Mulino, 2017). È anche l’allegoria che accomuna i saggi di Barbujani, Sono razzista ma cerco di smettere, Gli Africani siamo noi, Europei senza se e senza ma, e il romanzo giallo Questione di razza.
Ci invita a indossare i panni dei “diversi”, a guardare il loro mondo con i loro occhi. L’esperimento non va molto di moda, forse perché ci rivela parecchio su noi stessi.
Ce la sentiamo di assecondare la speranza di giovani intraprendenti, temerari, mossi “dall’irrequietezza e dalla curiosità”? La loro diversità ci spaventa? O ci spaventa la somiglianza con gli italiani “sempre più migranti“? Preferiamo “moglie e buoi dei paesi tuoi”? Sottraiamo risorse a “casa loro” perfino quando cerchiamo di aiutarli a non abbandonarla? Quanto lavoro di uomini, donne e bambini stranieri sfruttiamo a casa nostra?
Sono domande serie poste da Barbujani e Brunelli nell’ultimo capitolo. Oggi “si fa un gran parlare di radici e dei diritti che deriverebbero dall’averle in un posto e non in un altro”, scrivono gli autori. Lasciano rispondere l’antropologo Marco Vaime:
basta abbassare lo sguardo per rendersi conto che in fondo alle gambe non abbiamo radici, ma piedi.
E ai piedi alcuni di noi hanno “suole di vento” come quelle della scrivente che sviene alla vista di una pistola, e di Arthur Rimbaud, poeta, vagabondo e trafficante d’armi.
Sono domande poste senza farle pesare perché Il giro del mondo in sei milioni di anni possiede quella che Italo Calvino chiamava “leggerezza“. È rivolto a chi magari non sa nulla della nostra evoluzione, ma ama le sorprese, i paradossi, viaggiare con la mente. A chi non teme di imbarcarsi verso l’ignoto e di identificarsi con l’interlocutore come Calvino nella sua intervista impossibile all’uomo di Neanderthal.
Il signor Neander è nato alla RAI nel 1974. Precede il più arcaico Esumin e lo aveva preceduto nel 1965 il moderno duca d’Auge, un signore che si dedica alla contraffazione di pitture rupestri tra una cannonata e l’altra contro i mammut e i villani. Quando il bifolco scarseggia attraversa il Mediterraneo. per uccidere i saraceni, poi la Spagna, la Francia e i secoli fino a metà del Novecento nel romanzo I fiori blu di Raymond Queneau.
Lo aveva tradotto Calvino in una sintonia impareggiabile con l’originale. I personaggi letterari hanno un albero genealogico, suggeriscono Barbujani e Brunelli, lasciano anche loro testimonianze della nostra evoluzione e di una storia che “non finisce qui”.
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