I campi Flegrei sono una zona particolarissima dal punto di vista geologico: l’area è infatti da tempo immemorabile (si hanno documenti che provano il verificarsi di questi eventi già dal II secolo d. C., ma è molto probabile che le origini siano ben più antiche) soggetta a fenomeni bradisismici, vale a dire che a causa dell’intensa attività vulcanica nel sottosuolo il terreno si alza e abbassa ciclicamente (in tempi che spesso sono nell’ordine dei secoli, ma non mancano gli eventi più repentini, anche di pochi giorni), con delle variazioni in altezza nell’ordine dei metri. Per questo motivo l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha varato il “Campi Flegrei Deep Drilling Project”, e cioè un progetto di ricerca il cui intento è monitorare l’attività vulcanica nel sottosuolo, per cogliere anche il più minimo segnale di pericolo. L’area campana infatti è una delle più pericolose (dal punto di vista vulcanico) al mondo, e certamente una delle più popolose. Il progetto, pur nei suoi buoni intenti, ha scatenato un importante dibattito: c’è infatti chi è molto preoccupato del fatto che si vada a sfrucugliare nelle viscere del vulcano proprio in una zona così densamente abitata.
Daniela Cipolloni è andata a indagare sul progetto, sulle ragioni del sì e quelle del no, raccogliendo le voci di chi è immerso nei fatti. Nella giornata di oggi dunque per portare l’attenzione su questa importante questione italiana vi proporremo un pezzo sul “Campi Flegrei Deep Drilling Project”, un’intervista a Giuseppe de Natale, della sezione di Napoli dell’Osservatorio Vesuviano dell’INGV, rappresentante del fronte dei “sì”, e un’altra intervista questa volta a Benedetto De Vivo, docente di Geochimica ambientale all’Università di Napoli Federico II, rappresentante del fronte dei “no”. Buona lettura.