Berger e colleghi hanno inserito un microchip nel cervello di alcuni roditori collegandolo a due aree dell’ippocampo (una struttura che è ben noto avere un ruolo importante nell’immagazzinamento dei ricordi a lungo termine), chiamate con le due sigle CA1 e CA3. I topi eseguivano dei compiti in laboratorio (schiacciavano una leva per procurarsi dell’acqua, e dovevano imparare quale delle due leve disponibili era quella corretta). Nella prima fase dell’esperimento il chip registrava l’attività in corrispondenza del compito.
Il pattern di attività registrato successivamente veniva usato al contrario, cioè l’ippocampo dei topi veniva stimolato con la stessa sequenza quando eseguivano nuovamente il compito. In caso di topi con l’ippocampo perfettamente funzionante la stimolazione migliorava la performance. Ancora più notevole il fatto che in alcuni topi in cui l’attività dell’areea CA1 eveniva temporaneamente bloccata con un farmaco, la stimolazione ripristinava una buona performance nel compito (che senza stimolazione era invece deficitaria)
In pratica si tratta del primo passo verso una generazione di chip neurali in grado di migliorare la prestazione cognitiva, o ripristinarla per esempio in presenza di certe patologie neurodegerative come l’Alzehimer. Sottolineo “primo” passo, infatti lo stadio della ricerca in questo ambito è ancora assolutamente pionieristico.