I risultati sono staiti definiti “sorprendenti” dagli autori. Secondo le ricostruzioni infatti, i nativi hawaiiani pescavano in quantità molto sostenute che eccedevano di gran lunga quelle che oggi la barriera corallina offre alla società, senza però depauperarla. Il contrario invece è avvenuto alle Florida Keys, che hanno a lungo alternato periodi di prosperità a periodi di impoverimento della fauna ittica. Lo studio secondo Kittinger dimostra che si può pescare in maniera molto produttiva e anche molto sostenibile, e gli hawaiiani ne sono un esempio.
Interessanti anche alcuni dettagli che emergono sui metodi di gestione della pesca. Pare infatti che il sistema hawaiiano fosse misto, nel senso che in parte le politiche emergevano dalla concertazione con il popolo, ma in parte era anche estremamente coercitivo. Spesso le regole avevano una caratterizzazione classista e sessista. Per esempio certe specie molto vulnerabili – come gli squali e le tartarughe – erano riservate alle mense dei grandi capi e dei sacerdoti. I tragressori inoltre venivano puniti corporalmente.
“Ovviamente non ci auguriamo questo,” commenta Kittinger, “Ma è facile vedere che c’è spazio per rinforzare ulteriormente gli sforzi attuali di regolamentazione.” (Un opinione magari un po’ forte).
Guardare alle esperienze del passato sulla gestione del mare resta comunque un approccio interessante, anche se è tutto da capire, mutato radicalmente lo scenario (crescita della popolazione, abitudini alimentari diverse, regole sociali, welfare, tecnologia…) come quanto appreso dal passato possa essere declinato nel presente.