Alcuni tra i principali esperti di conservazione ne parlano su Science, spiegando che dopo tre anni di negoziazioni le riforme del CAP sono state diluite a tal punto da non poter apportare benefici, con la riduzione del budget destinato ai progetti ambientali e cavilli che permettono agli agricoltori di sottrarsi a gran parte degli obblighi. I singoli stati membri, in questo contesto, possono tuttavia fare affidamento sulla flessibilità che le riforme offrono nell’elaborare i piani nazionali, e secondo gli scienziati questa è l’unica possibilità che abbiamo di ottenere risultati concreti. “L’UE dovrebbe comunicare apertamente la sua fiducia in tal senso”, commenta Guy Pe’er, leader della ricerca dell’ Helmholtz Centre for Environmental Research, “e incoraggiare gli stati membri a prendere decisioni responsabili, senza far finta di credere che le riforme permetteranno davvero di raggiungere gli obiettivi ecologici prefissati”. Secondo Pe’er e gli altri autori, l’espansione dell’UE -e delle sue reti commerciali- non farà che intensificare le attività agricole, a spese degli habitat naturali e della fauna selvatica.
La situazione è particolarmente preoccupante nei nuovi stati membri, dove è in costante aumento l’utilizzo di prodotti chimici come i fertilizzanti. Per alleggerire il peso che grava sulla fauna selvatica, il CAP ha vincolato il 30% dei finanziamenti diretti agli agricoltori al rispetto di tre punti fondamentali per l’ecosostenibilità: istituire e proteggere Ecological Focus Areas, preservare i pascoli e le praterie e stabilire requisiti minimi sul numero di colture in crescita, in modo da evitare la monocoltura. Tutto molto promettente se non fosse, sottolineano gli esperti, che a questi provvedimenti riescono a sottrarsi più dell’88% degli agricoltori dell’UE, e per più del 48% delle zone agricole non sarà obbligatorio istituire le EFA. Per non parlare di quell’81% di agricoltori esenti dall’obbligo di policoltura. Entro il 2020, un ulteriore 5% delle praterie naturali andrà così perduto per far spazio alle coltivazioni. “Se gli obblighi non arrivano direttamente da Bruxelles”, commenta Andras Baldi dell’MTA Centre for Ecological Research, “potremmo non vedere alcun miglioramento dal punto di vista ecologico”.
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