Tra le future applicazioni, complice la maggiore conoscenza che abbiamo ora del frutto e della sua resistenza a fattori come siccità e parassiti, potrebbe esserci un miglioramento della produzione. Presto potremmo ad esempio essere in grado di selezionare varietà più resistenti alle differenti tipologie di stress, come anche regolare tempistiche di maturazione e caratteristiche stesse del pomodoro.
Le analisi degli scienziati hanno evidenziato quali sono le regioni che più di tutte sono state oggetto di selezione (la differenza tra i due genomi, coltivato e selvatico, è di circa lo 0,6%), e scoperto che sono due i gruppi indipendenti di geni responsabili d’aver reso i pomodori commerciali che conosciamo circa cento volte più grandi dei loro antenati selvatici. Tra le novità più importanti individuate dai ricercatori vi è il fatto che mentre alcune regioni del DNA si sono mantenute nel corso degli anni, altre sono state ridotte drasticamente nelle variazioni genetiche: le più evidenti riguardano il DNA circostante i geni che regolano le dimensioni dei frutti, o che conferiscono resistenza alle patologie che colpiscono la pianta.
Secondo il team del Tomato Genome Consortium, la prima attività nella quale impegnarsi ora è aumentare la diversità genetica dei pomodori, aiutando le varie realtà che conservano i semi delle varietà meno diffuse (specialmente quelle più antiche): saranno fondamentali negli anni di ricerca a venire, oltre che per gli incroci. Insomma, aveva ragione Rat Man quando diceva che “anche i pomodori sanno che non si sfugge al passato”.
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