La protonterapia, potenzialmente, può essere usata per trattare qualsiasi tipo di tumore per cui normalmente si utilizzerebbe radioterapia convenzionale. È quando questa raggiunge livelli di tossicità molto elevati, o le neoplasie riguardano tessuti critici, che la protonterapia diventa decisamente più adatta. Lo spiegava lo scorso anno a OggiScienza Maurizio Amichetti, direttore del nuovo centro di protonterapia di Trento. La piccola era già stata sottoposta a un complesso percorso diagnostico e clinico, spiega l’equipe di Franco Locatelli, responsabile dell’Oncologia pediatrica all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. A causa proprio della delicata localizzazione del tumore, già in parte asportato per via chirurgica (prima modalità di trattamento che purtroppo riesce in un’escissione spesso incompleta), i medici hanno deciso di sottoporla a radioterapia per due mesi di trattamenti.
Orientando i fasci di protoni, che rilasciano la dose nel paziente con estrema precisione, si riesce a tutelare i tessuti sani circostanti il tumore. Così si riducono gli effetti collaterali, in particolare quelli legati alla tossicità a lungo termine, che possono portare allo sviluppo di altre patologie anche gravi (situazione più delicata ancora nel caso di tumori pediatrici, che come quelli geriatrici richiedono la presenza di più figure mediche). “Si tratta di una tecnica che, soprattutto nei bambini, comporta meno effetti collaterali a lungo termine, poiché permette di risparmiare quanto più possibile i tessuti sani che non sono stati colpiti dal tumore”, spiega Angela Mastronuzzi, neuro-oncologa pediatra del Bambino Gesù. “I protoni, infatti, hanno la peculiarità di rilasciare energia direttamente nella sede del tumore, senza compromettere i tessuti sani intorno. Negli Stati Uniti è usata già da molti anni per il trattamento dei pazienti pediatrici, soprattutto di quelli affetti da tumori del sistema nervoso centrale”.
La protonterapia non è comunque risolutiva, sottolineano i medici. Ed è un elemento importante da tenere in considerazione: “I tumori pediatrici, attualmente, sono patologie curabili e guaribili nella maggior parte dei casi. Tali possibilità di guarigione sono state raggiunte grazie all’approccio terapeutico multidisciplinare che prevede, su ogni singolo caso, il coinvolgimento di più specialisti che intervengono ognuno in un aspetto significativo del percorso di malattia del piccolo paziente. In tale scenario terapeutico, la protonterapia rappresenta un ulteriore approccio, potenzialmente molto vantaggioso in diversi casi».
Il centro di Trento dove la piccola affronterà la terapia ha iniziato la sua attività alla fine dello scorso anno, e sono molti i pazienti adulti che già si sono sottoposti alla protonterapia. Un inizio positivo che ha spinto Amichetti, dopo un confronto e un’accurata analisi delle peculiarità del caso, a sviluppare l’approccio proposto dai colleghi del Bambino Gesù. In futuro “questo approccio innovativo e sempre più usato potrà permettere, nei casi indicati, effettivi vantaggi soprattutto in termini di risparmio dei tessuti sani nel trattamento dei piccoli pazienti”, commenta Amichetti.
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