Monfardini: “Gli anziani malati di cancro hanno il diritto a un approccio geriatrico integrato”
A Chicago al meeting degli oncologi americani Silvio Monfardini riceve il B.J. Kennedy Award per il suo straordinario contributo alla disciplina
SALUTE – Quando ad ammalarsi di tumore è un anziano, le cose si complicano. Il corpo è più fragile, perché affetto da altre malattie o da una forma di disabilità. E non si devono dimenticare gli aspetti psicologici, con una più facile inclinazione a stati depressivi. Per tutti questi motivi, il malato di cancro sopra i 65 anni non è un paziente come gli altri e ha bisogno di un sostegno clinico diverso che passa attraverso un dialogo più stretto tra oncologia e geriatria. Silvio Monfardini lo afferma dal palco del McCormick Place, il centro congressi di Chicago, durante la lezione magistrale tenuta dopo aver ricevuto il B.J. Kennedy Award 2015, un premio speciale che l’American Society for Clinical Oncology (ASCO) assegna durante la propria conferenza annuale a chi si è distinto nel campo dell’oncologia geriatrica. E Silvio Monfardini, direttore del programma di Oncologia Geriatrica dell’Istituto “Palazzolo-Don Gnocchi” di Milano, è uno dei padri riconosciuti della disciplina.
Tutto è iniziato più di trent’anni fa, quando ad Aviano, in Friuli, Monfardini si è trovato a dover valutare la tossicità dei trattamenti sui pazienti in terapia intensiva. “In oncologia si tengono in conto i problemi dovuti alla neoplasia, ma quando l’ospite è anziano”, racconta, “bisogna tenere conto di entrambi gli aspetti”. Serve quindi “una nuova interdisciplinarietà“, per cui oltre al chirurgo, al radiologo, al patologo e a tutte le altre figure che compongono l’equipe “in futuro non si potrà prescindere dall’inserire l’aspetto geriatrico”.
Numeri e scale
I numeri degli ammalati di tumore over 65 parlano da soli. Secondo i dati, aggiornati allo scorso gennaio, di GLOBOCAN, dell’oltre milione e mezzo di nuovi casi verificatisi in Europa nel 2012 il 59,6% era un paziente geriatrico. E gli anziani contano per il 73% dei morti. Le proiezioni al 2020 e al 2030 realizzate dallo stesso istituto e presentate da Silvio Monfardini mostrano che questi numeri sono destinati a crescere. Motivo per cui l’appello a una maggiore integrazione tra oncologia e geriatria suona più attuale che mai. Nel corso della sua lunga carriera, durante la quale è stato anche presidente della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) e dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), Silvio Monfardini ha contribuito a mettere a punto una scala di valutazione geriatrica multidisciplinare che permette di individuare i pazienti più fragili e che hanno bisogno di un supporto specifico durante la cura.
Aspetto determinante è organizzare fin da ora degli studi clinici che ci dicano davvero cosa succede nei pazienti anziani affetti da tumore. “Finora quelli che sono stati millantati come studi sugli anziani non ci hanno detto proprio niente”, spiega Monfardini, “perché quei pazienti geriatrici che vengono selezionati ed entrano negli studi clinici sono molto simili agli adulti”. A dire che se si usano la presenza di altre patologie, di disabilità o di altre condizioni che sono frequenti negli anziani come fattori per non includere un paziente in un trial clinico, questo significa che quei soggetti che vi sono rientrati avranno anche un’età superiore ai 65 anni, ma solo da un punto di vista della somma degli anni, non della complessità della situazione clinica che li contraddistingue.
“Smettiamola di fare studi che escludano questi fattori, perché non servono a niente, proprio perché non vengono disegnati tenendo conto di queste variabili fondamentali”. Da un’analisi condotta sui dati di paziente selezionati per testare nuovi farmaci della European Organisation for Research and Treatment of Cancer (EORTC) tra il 1983 e il 1992, Mondardini fa notare che solo il 22% aveva più di 65 anni, l’8% era oltre i settanta.
Strade chiuse, strade aperte
La collaborazione tra medico internista, chirurgo e oncologo con un geriatra serve anche ad evitare di alzare le mani di fronte alla prospettiva di un intervento in sala operatoria. Esempio, l’internista che di fronte a un cancro al colon retto in un paziente di ottant’anni dice che non c’è niente da fare, perché non si può operare. “Ma magari non è vero, si può provare una operazione in endoscopia, oppure ci possono essere altre strade”, specifica Monfardini, strade che appunto il geriatra può suggerire se lavora gomito a gomito con gli altri specialisti. “Ci sono casi di tumore al fegato, al rene o nel caso delle metastasi polmonari in cui si potrebbe intervenire con la radioterapia intervenzionale, risparmiando l’intervento chirurgico, ma purtroppo si tratta di settori in cui non ci sono studi specifici sui pazienti geriatrici”.
Poi c’è il tema del follow up, ovvero i protocolli di controllo a cui vengono sottoposti i pazienti dopo l’intervento. “Si tratta di un settore nuovo che si comincia a vedere adesso”, spiega Monfardini. “Noi abbiamo cominciato uno studio finanziato dal Ministero della Salute italiano proprio per valutare qual è il follow up ideale per pazienti geriatrici che hanno avuto alcuni tipi di tumore urologico”. Anche qui la collaborazione potrebbe essere cruciale, perché permetterebbe di capire se il paziente ha bisogno di qualcos’altro oltre al normale follow up oncologico.
Una nuova cultura
Tutti aspetti di una concezione della medicina oncologica sui pazienti anziani che non servono soltanto a sottolineare dove ci siano margini di miglioramento per gli studi clinici o per l’ottimizzazione dell’impiego della medicina, “che vanno benissimo”. Ma quello che va sottolineato, secondo Monfardini, è che “il paziente anziano ha il diritto di avere al proprio fianco, oltre all’oncologo e all’internista, anche il geriatra”. Si tratta di un’interazione che “può dare il mal di pancia” a figure molto specializzate e che faticano a capire il punto di vista delle altre. Sono aspetti di una cultura medica che va cambiata e, in parte, sta cambiando, ma è per questo che “bisogna parlare ai giovani, sia oncologi che geriatri”, con la speranza che dove lavorano riescano ad abbattere qualche barriera di incomunicabilità. A tutto beneficio dei pazienti che trattano.
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