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Le allevatrici di spugne a Jambiani

Un progetto per salvaguardare le risorse marine, creare consapevolezza, ridurre la povertà e sostenere la parità di genere

I mari di tutto il mondo si stanno impoverendo a vista d’occhio. La situazione peggiora in quei paesi dove gran parte della sussistenza locale dipende direttamente dalle risorse che il mare mette a disposizione. In queste zone la pesca eccessiva, la distruzione degli habitat, l’inquinamento e la perdita di biodiversità si sommano a povertà, mancanza di opportunità economiche, diseguaglianza di genere e disoccupazione.

Ci sono però alcune storie che rompono il silenzio di questi schemi e che vale la pena di raccontare perché possono diventare un modello esportabile di gestione sostenibile delle risorse e di empowerment della popolazione locale. Una di queste è la storia delle Sponge Farmer, le allevatrici di spugne, a Jambiani, un piccolo villaggio di pescatori nel sud est di Unguja, la maggiore delle isole che compongono l’arcipelago di Zanzibar.

Sponge Farmer | ©Gabriele Orlini
Le spugne vengono fatte crescere attaccate a delle corde sospese tra boe | Credits: ©Gabriele Orlini, 2021

Chi sono le Sponge Farmer

Quando la marea è bassa e la candida sabbia rivela la sua presenza per centinaia di metri fino a perdersi all’orizzonte, un gruppo di donne avvolte nei loro kanga colorati e armate di secchi, reti, boccagli e maschera da snorkeling si incammina verso il sorgere del sole. Sono le Sponge Farmer, le allevatrici di spugne. Sono tutte donne, la maggior parte madri single, persone spesso lasciate ai margini della società perché senza un marito che possa occuparsi di loro. Alcune fanno questo lavoro da anni e sono riuscite a comprare una casa per sé e per i propri figli. Altre hanno iniziato da poco. Altre ancora sono delle apprendiste che stanno per finire l’anno di corso necessario a ottenere la certificazione che permetterà loro di diventare delle farmer indipendenti.

La prima farm è stata creata nel 2009 da una piccola ONG chiamata Marinecultures. Lo scopo di Christian Vaterlaus e Connie Sacchi, i due fondatori, era quello di creare qualcosa in grado di dare un sostegno alla popolazione locale, soprattutto alle donne, e che potesse essere sostenibile da un punto di vista ambientale. Molte delle donne coinvolte all’inizio, prima erano coltivatrici di alghe, un’attività molto diffusa sull’isola fin dagli anni Novanta del secolo scorso ma che è diventata nel tempo sempre meno remunerativa anche a causa dell’aumento della temperatura dell’oceano Indiano.

I Vaterlaus hanno mutuato l’idea dal Marine & Environmental Institute of Pohnpei (MERIP), un’organizzazione che in Micronesia alleva spugne, coralli e invertebrati insieme alla popolazione locale, fin dalla fine degli anni Novanta. La ricerca per trovare una specie di spugna che potesse essere allevata nelle calde acque di fronte a Jambiani è durata più del previsto ma alla fine, dopo aver testato oltre di 120 specie locali, sono riusciti a trovarne una che può essere allevata in modo sostenibile.

Perché proprio le spugne?

Le spugne (phylum Porifera) sono organismi animali pluricellulari, sessili, che si nutrono di particelle organiche contenute nell’acqua. A differenza di altri allevamenti o colture di acquacoltura, gli allevamenti di spugne possono essere creati con poche risorse finanziarie e competenze tecniche di base. A questo si aggiunge il fatto che le spugne contribuiscono naturalmente al funzionamento ecologico degli ecosistemi marini, attraverso la filtrazione dell’acqua e come fonte di cibo e habitat per altri organismi. Inoltre, allevarle non richiede alcun uso di antibiotici o la somministrazione di sostanze nutrienti esterne. Infine, da un punto di vista economico, la richiesta di spugne naturali da bagno è molto alta e per questo produrle può diventare un’attività remunerativa.

Una spugna impiega dai 9 ai 12 mesi per svilupparsi ed essere pronta per il raccolto. Durante  questo periodo tante sono le cose che possono andar male per cui le farmer devono prendersi cura quotidianamente delle spugne, controllando che l’ambiente in cui crescono rimanga pulito e che le spugne non vengano attaccate da alghe o batteri. “Quando arrivo alla Farm la prima cosa che faccio è controllare che sia tutto a posto – ci dice Aysha Said, una delle Farmer che abbiamo incontrato – poi mi dedico a pulire le cime, le boe e a fare tutto quello che serve affinché l’ambiente dove crescono le spugne sia in ordine e sicuro per il loro sviluppo.”

Una volta raggiunta una determinata grandezza le spugne vengono raccolte e portate sulla terraferma. Qui vengono lavate con un detergente naturale per togliere l’acqua salata e ogni residuo animale o vegetale. Dopo averle sciacquate più volte e aver fatto un controllo sulla qualità del prodotto, le spugne vengono messe ad asciugare dentro dei sacchi a rete appesi sulle pareti della sede di Marinecultures. Ora sono pronte per essere vendute negli shop degli hotel o ai turisti nei Farmers’ Market locali.

Sponge Farmer | ©Gabriele Orlini
Spugne pronte per essere vendute | Credits: ©Gabriele Orlini, 2021

Sfide attuali e progetti futuri

Oggi ci sono tredici Farmer indipendenti e due che stanno completando il loro percorso di studi per poter essere a loro volta delle farmer certificate. Marinecultures fornisce un training della durata di un anno in cui le partecipanti imparano ad allevare e a commercializzare le spugne e poi, alla fine del corso, ricevono dalla ONG una porzione di vivaio e l’attrezzatura necessaria per svolgere questo lavoro in sicurezza e autonomia. Da poco, Marinecultures ha iniziato un piano triennale per trasferire questo progetto interamente nelle mani della comunità locale creando una cooperativa che sarà responsabile non solo del vivaio ma anche della formazione di nuove farmer.

Il mondo delle Sponge Farm, però, non è tutto rosa e fiori. Le spugne sono organismi che possono venir attaccate da patogeni e il raccolto può essere gravemente compromesso. Negli ultimi mesi il 90% delle spugne presenti nella Farm di Jambiani è perito. Le cause non sono ancora certe ma sembra possa esser dovuto alla presenza di cianobatteri. “La sfida più ardua che dobbiamo affrontare oggi è la recente moria di spugne che se dovesse durare a lungo metterebbe tutte noi in grave difficoltà economica” ci ha detto Nasir Hassan Haji, un’altra farmer che abbiamo incontrato.

Per prendere tempo, gli esperti di Marinecultures hanno deciso di spostare una parte delle spugne in acque più profonde, le stesse dove dal 2014 allevano coralli. Questo spostamento ha permesso di salvare le spugne superstiti che, quando sono quasi pronte, vengono riportare nelle acque più basse dove le farmer possono raccoglierle in autonomia. Inoltre, hanno deciso di affiancare alle spugne anche le alghe in modo che la coltivazione non sia più una monocoltura. Una delle ipotesi, infatti, è che le spugne in monocoltura siano più vulnerabili. Per ora, come già successo in passato, si procede per tentativi ed errori, nella speranza di trovare al più presto la causa e riuscire a ripristinare completamente l’allevamento.


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Immagini: ©Gabriele Orlini | All rights reserved

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Lisa Zillio
Filmmaker e content creator, lavoro con immagini e parole. Ho una formazione in management culturale e una specializzazione in filmmaking conseguita presso la New York Film Academy. Dal 2010 mi occupo di comunicazione multimediale con una predilezione per il settore ambientale e il reportage. Ho fatto parte della redazione di OggiScienza. Ho documentato diverse spedizioni scientifiche e umanitarie tra Asia e Sud America. Ho realizzato video per mostre multimediali e nel 2021 Entiendo, il mio primo docu-film. Nel 2019 ho co-creato il progetto DooG Reporter il cui obiettivo è raccontare le storie del mondo in modo etico.