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La mano umana si è evoluta per dare pugni?

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WHAAAT? Il venerdì casual della scienza – Voi non lo sapete, ma esiste un acceso dibattito intorno all’idea che le nostre mani non si siano evolute solo allo scopo di maneggiare utensili e acquistare una certa abilità, appunto, manuale, ma per permettere ai maschi di prendere a pugni altri maschi per accaparrarsi le femmine. Palmo corto, pollice opponibile, colpi efficaci.

Per provarlo, all’Università dello Utah tre biologi hanno usato gli arti di cadaveri umani per colpire dei pesi (imbottiti) per bilancieri da palestra. “L’idea che il comportamento aggressivo abbia avuto un ruolo nell’evoluzione della nostra mano è controversa”, spiega l’autore che ha guidato lo studio David Carrier, infatti molti scettici considerano il pugno una semplice coincidenza. “Potrebbe essere vero, ma se fosse così, sarebbe una coincidenza sfortunata”.

Carrier e i due colleghi co-autori (due suoi studenti, Joshua Horns e Rebekah Jung) propongono un’alternativa, ovvero che le proporzioni della mano che permettono di metterla a pugno la dicono lunga sulla nostra storia evolutiva e sulle caratteristiche che ci definiscono come specie. La loro teoria, o meglio, l’interpretazione più emotiva dell’ipotesi di una “mano da combattimento”, è che “se la nostra anatomia si è adattata per il combattimento dobbiamo essere consapevoli che saremo sempre tormentati da emozioni primordiali e comportamenti istintivi, che spesso non hanno un senso e sono addirittura pericolosi, nel mondo moderno”.

Ma la dibattuta teoria non finisce qui, perché se c’è una mano evolutasi per colpire, doveva esserci una faccia (poi estinta) evolutasi per ricevere pugni. Nello specifico, spiega Carrier, quella degli australopitechi. Guarda caso insieme ai suoi colleghi ha pubblicato un paper anche su questo. Poi nel tempo il volto umano è diventato sempre più “delicato”, via via che la violenza non era correlata alla mera forza bruta e al dare e ricevere pugni.

Cadaveri per testare l’idea

Ma torniamo agli arti di cadaveri. “Abbiamo testato l’ipotesi che un pugno stretto protegga le ossa del metacarpo dagli urti – e dalle fratture – riducendo lo sforzo richiesto dal colpo”, spiegano i ricercatori nello studio pubblicato sul Journal of Experimental Biology. Le ossa del metacarpo, per essere precisi, sono proprio quelle più a rischio di rottura in caso di una lotta a colpi di pugni o banalmente di un momento di rabbia in cui sferriamo un pugno contro il muro.

Dopo essersi procurati nove braccia maschili un tempo appartenenti a cadaveri (tramite il programma universitario di donazione dei corpi e un’azienda privata), Carrier e i colleghi le hanno usate per colpire i pesi imbottiti di un bilanciere, confermando la loro idea che un pugno umano con il pollice posizionato tra indice e medio è in grado di sferrare un colpo due volte più potente rispetto a una mano aperta. La preparazione di ogni braccio, precisano i tre, ha richiesto circa una settimana per fare sì che il colpo sferrato fosse paragonabile a quello che nella realtà può infliggere una mano chiusa a pugno.

Carrier, ben consapevole che la sua teoria incontra molte critiche (comprese quelle di un noto blogger statunitense che ha definito il suo studio una ricerca alla “bro science” sul fare a pugni), aggiunge alla sua pubblicazione un serie di punti a sostegno. Riportiamo i principali:

Sostenitori o detrattori della teoria, di sicuro questa nuova pubblicazione ci ha dato di che riflettere. Magari la vedremo tra gli igNobel del prossimo anno, chissà.

@Eleonoraseeing

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