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Perché quando dormiamo in un posto nuovo siamo poco riposati?

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Quando dormiamo in ambienti nuovi, un emisfero del nostro cervello rimane più attivo, lasciandoci una sensazione di stanchezza al risveglio. Crediti immagine: Mislav Marohnić, Flickr

SCOPERTE – Perché quando dormiamo in un luogo poco familiare al mattino ci svegliamo intontiti, come se non avessimo riposato affatto? Che si tratti di una camera d’albergo o della stanza per gli ospiti a casa di un amico, ora abbiamo la risposta: la colpa non è del cuscino ma di un emisfero del nostro cervello, che rimane più attivo per “tenere d’occhio” la situazione. Dopotutto durante il sonno siamo vulnerabili, e stiamo dormendo in un posto che non conosciamo. Lo studio è appena stato pubblicato su Current Biology.

Se guardiamo agli animali non umani, che sia solo uno degli emisferi a dormire davvero non è una novità. In molte specie tra uccelli, rettili e cetacei si parla proprio di sonno uniemisferico ed è possibile vedere – misurando l’attività del cervello tramite elettroencefalografia – che c’è una sensibile differenza tra i due emisferi. Uno è sveglio, l’altro no.

Prendiamo per esempio le colombe (Columba livia): quando dormono non solo un emisfero rimane attivo, ma a sua volta rimarrà aperto solo l’occhio cosiddetto controlaterale. Se a dormire è l’emisfero sinistro sarà chiuso l’occhio destro e viceversa. Il processo è stato studiato anche in una specie modello molto usata negli studi sul cervello di animali non umani, il comune pulcino, in cui la distribuzione di sonno tra gli emisferi – e la quantità di sonno uniemisferico – sono legate anche all’attività diurna. Se un emisfero è più attivo di giorno riposerà di più durante la notte, come dimostrato da uno studio italiano di qualche anno fa, uscito su Experimental Brain Research.

“Sappiamo che gli animali marini e alcuni uccelli mostrano sonno uniemisferico, con un emisfero sveglio e l’altro dormiente”, conferma in un comunicato la ricercatrice Yuka Sasaki della Brown University. Nel cervello umano non è stato riscontrato lo stesso livello di asimmetria ma è possibile che sia presente, seppur in miniatura, un sistema simile a quello di cui sono dotati balene e delfini. Per queste notti di sonno insoddisfacenti in inglese esiste un termine, first night effect (effetto della prima notte) e viene studiato monitorando l’attività cerebrale delle persone che dormono per la prima volta in laboratorio, confrontandola con quella del secondo giorno attraverso tecniche avanzate di neuroimaging.

È così che Sasaki e colleghi hanno fatto la loro scoperta: durante la prima notte di sonno, l’attività nei due emisferi era diversa. Un emisfero era addormentato meno profondamente dell’altro e, per qualche ragione ancora da esplorare, si trattava sempre del sinistro. La differenza è stata associata alla difficoltà di prendere sonno – un aspetto critico del first night effect – e dalla seconda notte in poi è diventata sempre meno evidente. Secondo Sasaki è possibile ridurre l’effetto con accorgimenti come portarsi il proprio cuscino o alloggiare in alberghi simili. Se per lavoro si viaggia molto, aggiunge, è anche possibile riuscire a “spegnere” questo sistema di sorveglianza automatico. “Il cervello umano è molto flessibile”, sottolinea, “perciò chi visita spesso posti nuovi non necessariamente sperimenterà ogni volta queste notti di sonno scadente”.

@Eleonoraseeing

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