Il momento Aha!, ovvero l’Eureka visto dalle neuroscienze
Quando la risposta arriva così, come un lampo di genio, nel cervello si attivano delle aree molto precise. E negli ultimi anni lo studio dell'insight si è fatto sempre più sistematico
APPROFONDIMENTO – In inglese è noto come insight ma nel tempo è stato chiamato nei modi più disparati. Eureka, lampo di genio o, per usare il nome coniato da Ophra Winfrey nel suo famoso talk show, “momento Aha!” (Aha! moment). Perché è proprio questo che succede: stiamo cercando di risolvere un problema o trovare una soluzione e improvvisamente Aha!, eccola lì, che spunta dal nulla come se il nostro cervello ci avesse ragionato su a nostra insaputa. In realtà è proprio questo che succede e, nel corso degli anni, è stato possibile studiare quello che accade nell’organo più affascinante del corpo umano mentre a noi si accende la fatidica lampadina. Per capirne di più ne abbiamo parlato con la ricercatrice italiana Carola Salvi, oggi alla Northwestern University di Chicago, che studia i meccanismi neurali alla base del problem solving e della creatività.
Come ti sei interessata a questo specifico ambito di ricerca?
Uno dei motivi per cui sono arrivata alla Northwestern, inizialmente per un periodo di visiting durante il dottorato, è che qui c’è il gruppo di ricerca che ha usato per la prima volta risonanza magnetica ed elettroencefalogramma per indagare l’insight. Io ho sempre voluto studiarlo, ma in Italia al tempo nessuno se ne occupava. Ora vogliamo capire cosa succede a livello cerebrale, quali aree sono connesse all’insight e come si attivano. Ma anche cosa accade prima e dopo: una volta avuta l’idea siamo più o meno propensi a seguirla? Esaurito il picco di eccitazione continui su quella strada o stabilisci che non ne vale la pena? Queste sono alcune delle domande alle quali vorremmo rispondere.
Come è cambiato l’approccio allo studio dell’insight nel corso degli anni?
I colleghi hanno scoperto che quando risolviamo un problema con insight si attiva un network di aree del cervello distinto da quello coinvolto nel ragionamento analitico. Il che è interessante anche in prospettiva storica, perché a partire dalla scuola della Gestalt si è sempre assunto che l’insight fosse quel qualcosa che ti permette di risolvere problemi come quello dei nove punti, in cui a partire dai punti devi formare un quadrato con quattro linee consecutive.
Questi problemi di insight richiedono di fare quello che inglese si chiama “think outside the box”, pensare fuori dagli schemi insomma. Molti faticano a risolvere il problema dei nove punti perché l’unico modo possibile è uscire dai confini del quadrato, una figura che viene percepita anche se nella realtà non esiste. I nove punti sono a quadrato, ma non sono un quadrato anche se noi lo categorizziamo così. È questa fissità funzionale a intralciarci nel trovare soluzioni: dobbiamo ristrutturare la visione iniziale del problema e l’insight ci aiuta a farlo.
Poter studiare l’insight in modo sistematico, quindi, ha cambiato tutto
Sì. Alla fine degli anni ’90, con le nuove tecniche delle neuroscienze, l’insight ha attirato l’interesse degli scienziati. Ma sottoporre un solo problema a una persona durante la risonanza non basta a ottenere i numeri necessari, così i colleghi alla Northwestern hanno creato una batteria di 144 problemi ad hoc, tra rebus e giochi di parole. Uno di questi problemi, ad esempio, consiste nell’avere tre parole e cercare la quarta che formi con tutte parole composte. Li hanno sottoposti alle persone che poi dovevano dire come li avevano risolti, se per ragionamento analitico o insight. Così hanno ottenuto la numerosità statistica che permette di esplorare cosa avviene e individuare i network che si attivano nel cervello.
Cosa succede nel cervello quando “si accende la lampadina”?
Con l’insight si attiva una parte dell’emisfero destro chiamata giro cingolato superiore. La scoperta è stata validata incrociando i dati della risonanza con quelli dell’elettroencefalogramma, che ha mostrato una maggior attività di onde gamma proprio in quell’area. Ma l’aspetto ancor più interessante è stato scoprire che subito prima dell’insight si attiva un network del tutto diverso e collegato ad altri processi dell’attenzione. Una manciata di millisecondi prima si disattivano le aree visive e il cervello è meno attivo, quasi in dormiveglia. Succedeva ancor prima che le persone vedessero il problema che poi avrebbero risolto per insight, mentre durante i processi di ragionamento analitico l’attenzione era ancor più focalizzata esternamente. L’idea è che il cervello filtri le informazioni visive, per “concentrarsi di più”, ed è questo il quadro sull’insight che avevo anche io prima di arrivare a Chicago.
Quali sono stati i passi in avanti da quel momento in poi?
Io ero specializzata nello studio dei movimenti oculari e suggerii a Mark Beeman che, se l’intuizione era giusta, avremmo dovuto trovare delle differenze anche a livello oculare. La cosa bella della scienza è che tutto si incastra come un puzzle, infatti abbiamo scoperto che prima dell’insight, quando si disattivano le aree visive, le persone sbattono di più le palpebre. Il che supporta l’ipotesi che, per non sovraccaricare il sistema cognitivo, riduciamo le informazioni visive che raggiungono il cervello. Anche studiare il “dove” guardiamo lo ha confermato: prima dell’insight le persone guardano intorno il problema, ad esempio lo spazio bianco che lo circonda. Anche altri scienziati stanno ottenendo risultati simili nello studio del mindwandering, l’essere sovrappensiero. Quando ci gongoliamo e apparentemente guardiamo nel vuoto, probabilmente questo ci aiuta nei processi cognitivi.
Quindi anche le informazioni visive ci aiutano a indagare come ragioniamo
Assolutamente, e studiare i movimenti oculari, in questo caso lo sbattere le palpebre, fornisce informazioni non solo sull’attenzione ma su un potenziale collegamento con la dopamina. La mia idea, non ancora del tutto esplorata, è indagare se questo neurotrasmettitore sia coinvolto nei processi creativi come l’insight. Il sistema dopaminergico è legato a quello della ricompensa, perciò abbiamo cercato di capire se offrire un premio alle persone le aiuti a risolvere più problemi per insight. È più complicato di quanto sembra, perché è difficile motivare le persone creative con una ricompensa economica. Il classico stereotipo dell’artista squattrinato non è un caso!
Dunque come avete aggirato l’ostacolo?
Mostrando la ricompensa in un caso in modo esplicito, nell’altro a livello subliminale, facendola comparire per 17 millisecondi prima dei problemi. In questo secondo caso, le persone risolvevano più test per insight. Ma ovviamente serviranno altri studi per confermare l’ipotesi.
E per quanto riguarda il fidarsi o meno di questi lampi di genio, trattato in uno dei vostri ultimi lavori?
L’idea è nata mentre analizzavo dei dati, dai quali è emerso che le persone che risolvono problemi in modo analitico sbagliano più spesso. Non a caso se pensiamo ai lampi di genio tendiamo a ricordare quelli che hanno funzionato, come Newton con la proverbiale mela. Ma cosa è successo agli insight che hanno fallito? Chi l’ha detto che i lampi di genio devono essere corretti? Così l’abbiamo studiato su quattro tipi di problemi, in due lingue e in due luoghi diversi -in Italia e a Chicago, nell’Illinois-. Ne è emerso che quando abbiamo un lampo di genio la soluzione è corretta in circa il 90% dei casi.
Di recente avete scoperto che persone con orientamento politico diverso ragionano in modo diverso, chi per insight chi per analisi. Spiegaci meglio
Era già stato dimostrato che le persone liberali tendono ad avere preferenze diverse, ad esempio per l’arte o per la musica, mentre i più conservatori o repubblicani hanno gusti che mimano lo status quo. Tra Pollock e Michelangelo il conservatore preferirà Michelangelo, tra classica e jazz il liberale tenderà a preferire il jazz. Il che è stato dimostrato anche a livello percettivo, studi che dimostrano, nei liberali, la tendenza alla “ricerca della novità” (novelty seeking). La psicologia sociale ha indagato molto questa differenza mentre si sapeva poco sull’aspetto creativo e di insight. Così abbiamo inserito, nei test di inizio anno degli studenti universitari, delle domande sull’orientamento politico, per poi scegliere un campione di 130 persone a distanza di quattro mesi e sottoporle al test delle parole composte. È emerso che tra i conservatori non ci sono grosse differenze mentre i liberali risolvono più problemi tramite insight. Abbiamo sottoposto a tutti 100 problemi, in media ognuno ne ha risolti 40: di questo 40%, nei liberali molto più della metà è stata risolta per insight.
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Crediti foto: Salvi, C., Costantini, G., Bricolo, E., Perugini, M., & Beeman, M. (2015) Rebus puzzles and compound remote associate problems: an Italian version. Behavioral Research Methods 1-22. DOI: 10.3758/s13428-015-0597-9 http://link.springer.com/article/10.3758/s13428-015-0597-9#page-1