Anche ai più cittadini di noi, in realtà, di suoni bestiali ne vengono in mente a bizzeffe: gli iconici ululati dei lupi, il canto degli uccelli, il gracidare delle rane e via dicendo. Ma quante volte ci soffermiamo a chiederci “a cosa servono questi richiami?” o “essere così chiassosi non attirerà dei predatori?” e ancora “specie diverse capiscono i reciproci richiami, o perlomeno sono in grado di sfruttarli in qualche modo?”. La bioacustica, che come molte altre branche della ricerca è in continua evoluzione, ha risposto e cerca di rispondere a queste e molte altre domande.
Il punto di partenza è che se una specie produce un suono, che si è fissato nel suo patrimonio comportamentale, deve trarne un qualche vantaggio. Così come chi quel suono lo ascolta, amico o nemico che sia. Pensiamo al canto degli uccelli, forse il primo a venirci in mente quando si parla di animali e suoni: per molte specie il canto è il modo in cui l’individuo segnala la sua condizione di salute, un messaggio onesto, che permette alle femmine di valutare i geni del maschio, dunque se sarà o meno un buon compagno e/o un buon padre. Ma è anche un segnale estremamente complesso, diverso di specie in specie: non è raro che si riesca a distinguere tra due specie cosiddette “criptiche”, ovvero molto simili tra loro, proprio studiandone la reazione ai reciproci vocalizzi. In altre, come il passero golabianca (Zonotrichia albicollis) i maschi cantano di meno una volta trovata una compagna, ma riprendono a farlo se la si allontana dal nido. Altre che possiamo incontrare anche in Italia, come il luì verde (Phylloscopus sibilatrix) riservano una versione del canto non accentata per allontanare i rivali, un’altra accentata per attrarre le signore luì.
Tra le pagine di “Suoni bestiali” si incontrano anche specie meno note, ma talmente geniali che è impossibile non apprezzarle: non tarderete a trovare una favorita, ma la mia è la fainopepla nera (Phainopepla nitens), che vive negli Stati Uniti meridionali e può imparare i versi di oltre dieci altre specie di volatili. A cosa le serve? Il suo richiamo di allarme -insieme a tutte le imitazioni- è in grado di attirare gli uccelli delle specie imitate e indurli ad attaccare il predatore che la sta minacciando. Come se non bastasse sa imitare anche il verso di un rapace, che sentendolo fare si intimidisce (o forse di stupisce?) a tal punto da mollare la presa, permettendole di fuggire. Ma il passaggio successivo è ancora più affascinante: la fainopepla, pare, emette richiami tali da attirare anche animali come i coyote, ovvero i predatori del suo predatore. Nel suo caso, imitare paga.
E che dire del cuculo? La sua imitazione (o per meglio dire inganno) è piuttosto famosa: questo parassita dei nidi depone le proprie uova nei nidi di 50 e più specie, lasciando i malcapitati proprietari a prendersi cura della sua prole. Schiusosi l’uovo, il piccolo cuculo non tarderà a eliminare la concorrenza, ovvero le uova dei legittimi occupanti del nido, per attirare su di sé le attenzioni. Ma anche la bioacustica svolge un ruolo, meno conosciuto: il verso del piccolo impostore, da solo, somiglia molto di più al coro di più pulcini (ad esempio i piccoli della cannaiola, Acrocephalus scirpaceus, tra le specie più parassitate) che non al pigolio di un singolo. Così il cuculo scongiura il rischio che i genitori, per risparmiare le energie, portino al nido il cibo per uno. Che in questo caso è un “uno” parecchio abbondante.
L’imitazione e l’inganno sono forse tra gli aspetti più intriganti della comunicazione acustica tra animali, ma se il tema vi attira non potrete che appassionarvi anche a tutti gli altri esempi del libro, che in modo graduale -e mai noioso- non lascia nessun dubbio o domanda senza risposte. E apre a un mondo di interazioni incredibili, così sofisticate da farci pensare a quante altre conversazioni animali avvengono in natura, intorno a noi, senza che ce ne rendiamo conto. Ad esempio tra prede e predatori, che “parlano” tra loro per salvarsi la pelle, le prime, e risparmiare le energie, i secondi.
Un esempio, molto caro all’autore, ci porta in India ed è quello del cervo pomellato (Axis axis) e della tigre. Il bel mantello del cervo gli permette di mimetizzarsi nella foresta, ma non lo mantiene al 100% al sicuro dagli occhi attenti del felino. Quando questo succede, e il cervo se ne rende conto, comunica con il suo predatore: solleva la coda e inizia a battere una delle zampe anteriori, mentre emette dei versi simili a latrati. A che scopo? Sta dicendo alla tigre “so che sei qui, se mi attacchi riuscirò a scappare”. Lui sopravvive, lei evita lo spreco di energie di un inseguimento senza pasto finale. Certo, penserete voi, fossi un cervo latrerei a prescindere in modo da evitare ogni attacco. Eppure l’inganno tra animali non sempre ripaga, ma il perché lo potete scoprire, approfonditamente, tra le pagine del libro. Che a segnali onesti e disonesti dedica due interi capitoli.
Leggi anche: Affinità bestiali, sesso e relazioni umane spiegate da quelle animali
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia