Se si è stati in visita in un Paese tropicale, o si è visto qualche documentario a riguardo, le mangrovie sono sicuramente alcune delle piante in cui ci si è imbattuti. Si tratta di ottanta specie diverse, tra arbusti e alberi, che vivono lungo le coste, i fiumi e gli estuari nelle zone tropicali e subtropicali. Sono resistenti, in grado di vivere su terreni fangosi, sabbia, torba e rocce coralline, con acqua fino a cento volte più salata di quella che la maggior parte delle altre piante è in grado di sopportare, e riescono a prosperare malgrado le inondazioni provocate dalle maree oceaniche due volte al giorno. Sembrano quasi indistruttibili, eppure anche loro hanno dei punti deboli.
Condizioni di vita difficili per le mangrovie
Stando a una ricerca pubblicata recentemente su Science, infatti, anche se sopportano bene le maree, per la mangrovie l’innalzamento del livello dei mari potrebbe essere un problema molto serio. Sfruttando i dati sedimentari relativi agli ultimi 10000 anni, un team internazionale guidato dalla Macquarie University in Australia stima che sia questione di pochi millimetri: se il tasso di crescita del livello delle acque si terrà sotto i 5 millimetri all’anno, da qui al 2050 le mangrovie riusciranno a tenere il passo, mentre se dovesse superare i 6-7 millimetri rischieremmo di perderle su moltissime coste. In alcune zone potrebbero cercare di spostarsi verso l’entroterra, ma lo sviluppo urbano delle aree costiere lo renderebbe impossibile in molti luoghi, destinandole a scomparire se le emissioni di gas serra non dovessero diminuire, rallentando questo fenomeno.
Come fanno, però, queste piante a sopravvivere in condizioni così ostili? Innanzitutto c’è il loro rapporto con il sale: molte specie sono in grado di filtrare fino al 90% di quello presente nell’acqua marina, non appena entra nelle loro radici. Altre lo espellono attraverso ghiandole poste sulle foglie, altre ancora lo concentrano nelle foglie e nella corteccia più vecchie, che quando vengono perse portano lo sgradito ospite con loro.
Un ambiente del genere è quasi assimilabile a un deserto: ecco perché è fondamentale che siano in grado di immagazzinare l’acqua dolce. Ci riescono grazie a foglie grasse, in alcune specie provviste di un rivestimento ceroso che minimizzi l’evaporazione, in altre con piccoli peli che deflettono il vento e la luce solare. Ci sono mangrovie con radici a forma di matita, che spuntano fuori dal terreno zuppo come tanti snorkel, radici a palafitta che si dipartono dal tronco e dai rami più bassi, radici aeree che si allargano dal fondo del tronco come i contrafforti di una cattedrale, per stabilizzare la pianta sul suolo cedevole… Sono senz’altro uno degli elementi distintivi di questi vegetali, e forniscono loro anche aiuto per la respirazione.
L’importanza di queste piante per l’ambiente e per noi
Le mangrovie, insieme alle praterie marine (come quelle di Posidonia e altre piante) e alle barriere coralline, spesso coesistono e lavorano insieme: le prime intrappolano inquinanti e sedimenti, che altrimenti finirebbero in mare, le seconde costituiscono un’ulteriore barriera per limo e fango, che soffocherebbero i coralli, e le ultime proteggono le altre dalla forza delle onde oceaniche. Senza un anello di questa catena, questo tipo di ecosistema collasserebbe.
Forniscono un habitat a numerose forme di vita a ogni livello, dai batteri, ai cirripedi, alle tigri del Bengala: ospitano diverse specie di insetti, richiamando numerosi uccelli, che trovano riparo tra i fitti rami. Queste foreste costiere sono infatti uno dei principali luoghi di nidificazione di uccelli migratori e non, tra cui martin pescatori, aironi, garzette. Moltissimi pesci, gamberi, granchi, molluschi trovano qui il luogo ideale per riprodursi, barracuda, tarponi e lucci si nascondono tra le sue radici quando sono ancora nella fase giovanile. Si stima che il 75% del pescato commerciale trascorra parte della sua vita tra le mangrovie, o dipenda dalla catena alimentare che risale a queste foreste costiere. Macachi di Giava, gatti pescatori e varani cacciano tra queste piante, dove vivono anche diversi animali a rischio di estinzione, come la tartaruga bastarda olivacea, il pesce pappagallo arcobaleno, la cernia gigante atlantica, la nasica, il dugongo.
Non bisogna dimenticare, poi, l’importanza di queste foreste per la sussistenza delle popolazioni locali: quando c’è bassa marea, sulle piane tidali (ovvero il terreno che rimane scoperto o parzialmente scoperto) si possono raccogliere frutti di mare e crostacei, mentre con l’alta marea questi terreni paludosi si trasformano in acque molto pescose. Per non parlare delle mangrovie in sé, che forniscono combustibile, medicinali, tannini e legno per costruire case e barche.
Situazione attuale e prospettive
Dovremmo preoccuparci, quindi, anche per un tipo di habitat così lontano da noi? Ricapitolando, sì, perché le mangrovie, creando una zona di transizione tra terra e mare, stabilizzano e ancorano il bagnasciuga, mentre smorzano l’azione di uragani e tsunami sulla linea costiera. Proteggono le barriere coralline dalla sedimentazione, catturano l’anidride carbonica e trattengono grandi quantità di carbonio, si adattano – entro certi limiti – all’innalzamento del livello del mare, fungono da nursery e da essenziale fonte di cibo per le forme di vita marina, oltre a essere un habitat fondamentale per alcune specie a rischio.
Purtroppo è solo negli ultimi decenni che abbiamo compreso l’importanza delle mangrovie, e – ironia della sorte – questo è successo proprio quando la loro scomparsa ha avuto una grande accelerazione. Si stima che la Tailandia abbia perso circa l’84% di queste foreste costiere, mentre la Costa d’Avorio, la Repubblica di Guinea-Bissau, la Tanzania, il Messico, la Repubblica di Panama, la Malesia, la Birmania, il Pakistan e le Filippine hanno detto addio a più del 60% delle loro mangrovie. La maggior parte cresce su suolo pubblico, senza alcun tipo di protezione.
Molte migliaia di chilometri quadrati di foresta di mangrovie sono stati distrutti per far spazio a risaie, piantagioni di alberi della gomma, palme da olio e altre coltivazioni. Fertilizzanti, pesticidi e cambiamenti nei naturali flussi di marea dovuti alla creazione di sistemi di irrigazione mettono in crisi anche una pianta così robusta. Lo sviluppo costiero, poi, rappresenta una minaccia: tutti desiderano essere vicino al mare, ma la cementificazione ha il suo prezzo, e un turismo troppo invasivo e poco rispettoso può rappresentare un problema. Anche il settore dell’acquacoltura, soprattutto di gamberi e gamberetti, entra in competizione con questo tipo di habitat: centinaia di migliaia di chilometri quadrati di zone umide verdeggianti e rigogliose sono state spazzate via per fare spazio agli stagni artificiali dove allevare questi animali, attività molto redditizia ma estremamente distruttiva per l’ambiente.
Se nell’immaginario comune la mangrovia è in genere una pianta, in realtà il nome si riferisce a molte specie diverse, o addirittura all’intero ecosistema che ruota intorno a loro, del quale spesso si ignora del tutto l’esistenza e il “peso”. Se a tutte le minacce per la loro sopravvivenza sulle coste si aggiunge il rischio che non riescano a tenere il passo con l’innalzamento dei mari, sarà davvero opportuno cercare di proteggere al meglio questi habitat, per la natura e per noi.
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