La percentuale di obesi in Danimarca è di circa il 10%, ben al di sotto dei livelli statunitensi che raggiungono il 33.8% negli adulti e il 17% negli adolescenti, e inferiore anche alla media europea, che si aggira intorno al 20%. Diversi condividono l’idea che la decisione del governo danese sia stata spinta più da motivi economici piuttosto che per migliorare la salute dei cittadini: secondo i primi calcoli, un pacco di burro da 250 grammi oggi costa il 14,1% in più rispetto a un mese fa.
Prima della Danimarca, anche altri Paesi hanno deciso di introdurre nuove tasse su diversi alimenti. La Francia ha varato la “tassa sulla Coca Cola”, colpendo le bevande gasate e ricche di zuccheri; l’Ungheria ha deciso per una “tassa anti-obesità” colpendo i cibi ricchi di grassi, sale e zuccheri, e ora seguono a ruota Finlandia, Norvegia e Regno Unito.
Tassare i cibi non sani potrebbe essere la soluzione per ridurre l’obesità e le malattie legate alla cattiva alimentazione, incoraggiando la popolazione ad adottare stili di vita migliori evitando cibi come burro, patatine fritte e pranzi da fast food, ma le critiche alla nuova decisione del governo danese non mancano. La fat tax colpisce i grassi, senza considerare la composizione generale degli alimenti. Burro e latte e patatine vengono messi sullo stesso modo, senza considerare che i prodotti caseari contengono altri nutrienti importanti che aiutano a ridurre l’effetto negativo dei grassi sull’organismo. Ma come sottolineano i produttori danesi, va assolutamente ricordato che quello che fa male è l’eccesso di grassi saturi non un loro corretto utilizzo all’interno di una dieta equilibrata.
Un’altra critica riguarda il fatto che solamente i grassi saturi vengono messi sul banco degli imputati, come causa principale dell’aumento dell’obesità, mentre anche altri alimenti sono responsabili del fenomeno. E non è tutto. Come riporta il Washington Post, citando una ricerca del 2007 del Forum for Health Economics and Policy, una fat tax del 10% ottiene un impatto di meno dell’1% sul consumo globale di grasso e servirebbe un aumento ben del 50% per osservare una riduzione del 3%. Resta quindi il dubbio dell’effettivo risparmio che il sistema sanitario nazionale avrà grazie a una riduzione delle malattie croniche legate all’obesità.
Ma introdurre una tassa sui cibi è davvero una buona idea per combattere l’obesità? Il messaggio che arriva ai cittadini è davvero quello di incoraggiarli ad adottare stili di vita più sani? Oppure l’idea che resta è che il governo ha deciso di colpire la tavola, dopo aver già tassato alcolici e tabacco, ma nascondendosi oggi dietro all’alibi della salute? È auspicabile però che almeno in parte gli introiti derivati dalla fat tax vadano a contribuire allo sviluppo di campagne a sostegno di quel 10% della popolazione affetta da obesità e per promuovere realmente stili di vita sani.