I soggetti testati da Hayes e Pickering sono stati divisi fra esperti e non esperti. I risultati delle osservazioni mostrano come gli esperti siano più sensibili all’amaro, in media, dei non esperti. Dunque secondo gli autori esisterebbe una differenza a livello fisiologico fra gli esperti di vino e i non esperti.
Gli scienziati che studiano il senso del gusto dividono la popolazione in tre categorie, a seconda della sensibilità all’amaro. Ci sono i nontaster che non percepiscono quasi per nulla l’amaro, i taster che lo percepiscono nella media e i supertaster che invece sono molto sensibili a questo gusto. La capacità di percepire l’amaro, secondo le ipotesi evoluzioniste, è emersa con la funzione di indivuduare velocemente sostanze potenzialmente tossiche (i veleni spesso hanno un gusto amaro) nei cibi, allo scopo di evitarli. Ma l’avversione all’amaro può avere anche una contropartita negativa, perché secondo molti studi i supertaster tendono a evitare certi vegetali (i cavoli e i broccoli per esempio) e ad avere in generale una dieta più grassa e meno sana dei taster, con maggiori complicazioni per la salute, e questo spiegherebbe la sopravvivenza nella popolazione dei geni che mediano il carattere notaster. La sensibilità all’amaro dipende infatti dalla densita di recettori per questo gusto sulla lingua, carattere determinato da geni specifici.
Ma perché gli esperti di vino sarebbero tendenzialmente dei supertaster, visto che si tratta appunto di una capacità predeterminata geneticamente e non di un carattere acquisistio attraverso l’apprendimento? Secondo gli autori si tratterebbe di una sorta di “affinità elettiva”: sarebbero proprio le persone dotate di particolari capacità gustative quelle che più facilmente tenderebbero ad avvicinarsi al mondo della degustazione del vino.
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