L’appuntamento è fissato per le ore 18 all’Arterìa, un locale ricavato da una vecchia cantina interrata, proprio dietro le due torri più celebri della città. Arrivo circa mezz’ora prima, ma non per nervosismo; ho preparato la mia presentazione in pochissimo tempo, è vero, ma il mio scopo non è vincere, bensì raccontare.
Sotto una grande volta a mattoncini, dalla parte opposta rispetto al bancone del bar (dove scopro che un Mojito – che mi concedo alla fine delle mie esibizioni – costa la bellezza di 8 €, ma non lo sanno che i ricercatori sono degli squattrinati?!) è allestito il piccolo palco dove ci esibiremo. Oltre i venti concorrenti, i quattro giurati e quelli dell’organizzazione, nel locale ci saranno circa sessanta persone. Alcuni sono parenti o amici, ma gustando il mio prezioso long drink, individuo anche qualche spettatore “puro”, arrivato lì solo per curiosità e interesse per questo nuovo modo di raccontare la scienza. Anche se mi attendevo più pubblico, la sala è comunque abbastanza piena, i divanetti davanti al palco affollati, l’atmosfera gradevole e la serata – che scorre piacevolmente – è ben organizzata.
Dato che sono il terzo ad esibirmi, ho modo di godermi con tranquillità lo spettacolo. Le prime presentazioni sono effettivamente un po’ barbose, troppo accademiche, fredde. Per il resto, invece, le esibizioni sono divertenti ed efficaci: si parla di DNA, di lupi sexy, d’ibernazione, di derivate e di caos con ironia e precisione. La gara consta di due fasi: la giuria, per decretare i due vincitori, infatti, sceglierà i migliori otto che dovranno esibirsi nuovamente. Piccolo problema: per la fretta, non ho letto bene il regolamento e non so delle due presentazioni. Tra le due prove c’è un po’ di pausa, mentre gli altri avranno tempo per qualche sigaretta nervosa all’ingresso del locale, a me servirà per farmi venire in mente qualcosa. E poi, mi dico, non sceglieranno mica me. Sgomento, accedo alla fase finale.
Altro piccolo giallo. Come da tradizione la giuria sbaglia a proclamare una finalista: una ragazza che aveva parlato dei satelliti – esclusa, con chiaro malumore del pubblico e dei concorrenti, dalla fase finale – è, giustamente, riammessa in gara.
Alla fine la spunterà su tutti Matteo Cerri, ricercatore di fisiologia all’Università di Bologna. Le sue presentazioni sono state perfette, senza sbavature. È riuscito a trattare con lucida leggerezza argomenti interessanti e difficili. Con l’ironia, invece, Riccardo Guidi, biotecnologo di Forlì e ricercatore all’estero, è riuscito a conquistare la seconda posizione. Capello leccato, occhiale alla moda, giacca nera con fazzoletto rosso nel taschino e pantalone attillato: sembra essere proprio a suo agio sul palco. Le sue presentazioni sono molto divertenti e, complice anche il suo accento irresistibile, riesce a incantare il pubblico.
Al termine, sono quasi tutti d’accordo con la giuria. Anche Ombretta – smaltita la delusione di non aver avuto accesso alla seconda sessione – si dice contenta dell’esperienza fatta e delle persone incontrate. Giovani di talento, effettivamente, cui vanno i complimenti del presidente di giuria Silvio Gualdi dell’INGV, che augura a tutti un futuro se non proprio da scienziati almeno da divulgatori, suscitando l’ira dei comunicatori della scienza presenti in sala che hanno scelto questo come lavoro e, certo, non per ripiego.
Tutti soddisfatti insomma, anche se io facevo il tifo per Riccardo. “È il vincitore morale”, mi fa notare uno degli organizzatori, “come quando a Sanremo 1996 preferirono il classicismo di Ron all’umorismo dissacrante degli Elio e le Storie Tese”.
Come dargli torto! Sorrido, risalgo in superficie e torno verso casa cullato fra i portici cosce di mamma Bologna…