Per capire come ciò avvenga i tre ricercatori hanno utilizzato alcune metodiche che vengono normalmente usate per studiare le voci umane e le hanno applicate a tre specie di lemuri del Madagascar: il lemure fulvo, il lemure dal ventre rosso e il lemure macaco.
Si sono focalizzati sui richiami emessi con il naso, grugniti senza apparente articolazione, e sulla base di misurazioni anatomiche – delle cavità nasali e di quella faringea, della conformazione delle camere nasali e della forma delle narici – hanno creato un modello del tratto vocale di ogni specie e calcolato le frequenze di risonanza di 2.500 suoni casuali simulando le variazioni. Hanno quindi misurato una sere di grugniti di individui delle stesse specie, ma nati e vissuti in cattività.
Il risultato, pubblicato sull’International Journal of Primatology, ha dimostrato che ci sono differenze specie specifiche nei richiami e costituisce la prima vera evidenza mai ottenuta del fatto che la morfologia del tratto vocale è fondamentale per generare segnali acustici cosiddetti “filter-related”, che forniscono, cioè, a chi riceve il richiamo di distinguere immediatamente la specie che lo ha emesso, anche all’interno dello stesso genere. “Come negli esseri umani – ha precisato Gamba in una nota diffusa dall’università torinese – la lunghezza delle vie aeree del lemuri è stato un fattore determinante dei cambiamenti nei loro richiami. Ma, almeno per i suoni nasali, è anche estremamente importante la forma del tratto vocale”. Anche i lemuri riconoscono le voci, dunque: un modo naturale per il “dirigere” traffico (acustico) nella foresta…