Dall’analisi risulta che le centrali a carbone in attività producono un quarto dell’energia elettrica consumata nell’Unione Europea e sono responsabili del 70% e del 40%, rispettivamente, degli ossidi di zolfo e di azoto emessi dal settore elettrico. Inoltre rilasciano nell’atmosfera quasi un quarto del totale delle emissioni di anidride carbonica.
Gli impatti sanitari maggiori si registrano in Polonia, Germania, Romania, Bulgaria e Regno Unito. E nei Paesi dove il ricorso al carbone è più elevato, come la Polonia, la Bulgaria e la Romania, la mortalità indotta dalle centrali supera persino quella dovuta agli incidenti stradali. In Italia, gli oltre 12.000 MW di energia prodotta dal carbone hanno causato 521 morti premature e la perdita di 117.000 giorni di lavoro.
Insomma, il quadro che emerge sarebbe sufficiente per orientare le politiche energetiche, da un lato, verso la chiusura delle centrali a carbone più vecchie e inquinanti e, dall’altro, verso la crescita delle rinnovabili.
E invece, denuncia Greenpeace, sono in progetto 50 nuove centrali a carbone, le cui emissioni, una volta entrate in funzione, causerebbero la perdita di altri 32 mila anni di vita.