Mentre vi accingete a mettere i regali sotto l'albero - ormai il tempo stringe - guardate il vostro albero di Natale. È sempre lo stesso che da anni recuperate dalla cantina e rimettete a riposo dopo l'Epifania? Oppure quest'anno avete deciso di acquistare un abete vero, per poi restituirlo alla natura? Secondo i dati di Coldiretti e del Corpo Forestale dello Stato, nel nostro Paese, sono commercializzati 6 milioni di alberi di Natale veri e 5 milioni di plastica.
Ogni anno finiscono nella spazzatura 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, ancora perfettamente commestibile. Insieme al cibo vanno sprecati 250 km3 di acqua, circa 5 volte il volume del Lago di Garda e 1,4 miliardi di ettari di terreno, quasi il 30% della superficie agricola mondiale. E sono prodotti – inutilmente – 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra, circa 7 volte le emissioni annuali del nostro Paese
Una sensibilità sempre più elevata riguardo alla questione degli sprechi alimentari, sia da parte del singolo consumatore che della grande distribuzione, ma ancora troppi atteggiamenti pratici disattenti che impediscono di risolvere una volta per tutte l’annoso problema.
L’impronta ecologica non basta, soprattutto quando parliamo delle materie prime necessarie per sostenere le economie dei Paesi industrializzati. Un nuovo studio australiano, pubblicato sulla rivista PNAS, ha mappato e ricalcolato l’impatto ambientale dell’utilizzo delle materie prime in 186 paesi dal 1990 al 2008, introducendo un nuovo indicatore: l’impronta materiale.
Sempre più “No”. Dalla costruzione di una nuova autostrada fino alla realizzazione di un impianto eolico, aumentano le opere contestate da associazioni e cittadini italiani.
Più di 22.000 morti premature all’anno, due ogni ora. Oltre 5 milioni di giornate lavorative perse per condizioni di malattia e disabilità indotte dall’inquinamento. Sono queste alcune delle cifre dell’impatto sanitario delle 300 centrali elettriche a carbone attive in Europa. A fare i conti è il rapporto di Greenpeace “Silent Killers” realizzato dall’Università di Stoccarda a partire dai dati relativi alle emissioni del 2010.