Sostenibilità ambientale: valutare l’impronta di prodotti e servizi
Ripercorrendo il percorso di produzione di un oggetto è possibile stimare il suo costo in termini di ambiente, salute e società. L'obiettivo è quello di proporre scenari perché cittadini, produttori e politici possano prendere decisioni informate.
RICERCANDO ALL’ESTERO – “Sessanta anni fa i miei nonni sapevano com’era fatto tutto quello che usavano, da dove veniva, che cosa c’era dentro. Noi non sappiamo praticamente niente di tutte le cose che usiamo: dalla sedia dove sono seduto, al tavolo che sto usando, al computer che ho di fronte. Conoscere la storia e l’impatto ambientale di oggetti e servizi è importante, soprattutto in una società consumista come la nostra. Solo così possiamo migliorare e fare in modo che le nostre azioni siano più sostenibili”.
Nome: Massimo Pizzol
Età: 33
Nato a: Vittorio Veneto (TV)
Vivo a: Aarhus (Danimarca)
Dottorato in: Pianificazione e sviluppo (Aalborg, Danimarca)
Ricerca: Valutazione del ciclo di vita di prodotti e servizi, tra gestione ambientale e scienza postnormale.
Istituto: Aalborg University
Interessi: leggo e colleziono fumetti, suono il sassofono e il basso elettrico, nuoto, la musica jazz.
Di Aarhus mi piace: è una città viva con bei bar, c’è poco stress e molto spazio per la vita personale.
Di Aarhus non mi piace: il clima, è lontano dalla mia famiglia, non è facile da raggiungere.
Pensiero: The future was limitless (John Fante).
Come si valuta la sostenibilità di un oggetto?
Ogni bene o servizio ha un “costo” sociale, economico, ambientale. Per definirne la sostenibilità dobbiamo analizzare il cosiddetto ciclo di vita, cioè l’insieme dei processi di produzione, consegna, utilizzo, consumo fino alla gestione dei rifiuti. Per ciascuna di queste fasi vengono raccolte tutte le informazioni disponibili, sia in termini di emissioni che di consumo di energia o risorse che di effetti a breve e lungo termine. Poi, grazie a una serie di modelli matematici, si fa una valutazione del ciclo di vita, fase per fase. Alla fine quello che si ottiene è un quadro completo dell’interazione prodotto-ambiente e una serie di scenari di sostenibilità e impatto ambientale.
Ci sono alcuni limiti nelle analisi di questo tipo. Innanzitutto c’è il problema dei dati raccolti, che non sempre sono in un formato coerente e spesso devono essere rielaborati, anche attraverso simulazioni al computer. Poi c’è l’incertezza dei risultati che caratterizza alcuni dei modelli già esistenti. La mia ricerca consiste sia nel creare nuovi modelli, adatti al prodotto o servizio in esame, sia nel cercare di migliorare le simulazioni attualmente disponibili, minimizzando l’incertezza.
Infine, il ciclo di vita di un prodotto non sempre è lineare perché, per esempio, un computer può avere parti provenienti dalla Cina, contenere materiali estratti in Africa, venire assemblato magari in Germania e poi essere distribuito globalmente. Di tutte queste fasi spesso non esiste alcun dato e non possiamo sapere come i vari Paesi producano i componenti, quanta energia consumino e come vengano controllate le emissioni.
Nei casi più semplici, invece, troviamo tutte le informazioni necessarie in database consultabili via web o sviluppati in precedenza nel nostro gruppo o forniti da altri progetti. Se servono dati primari, di solito ce li cerchiamo da soli mentre se lo studio di sostenibilità è stato commissionato da un’azienda, Comune, ente o privato in genere ce li forniscono loro.
Quali sono gli obiettivi di questi studi?
L’idea principale è dare una stima degli effetti ambientali di un certo prodotto o servizio e, contemporaneamente, valutare l’importanza del suo impatto in modo da poter paragonare diverse alternative. Pensiamo a una sedia e alle varie scelte possibili, come il tipo di materiale, la sua provenienza, la forma, la durata, il design: combinando insieme i dati per tutti questi scenari, possiamo calcolare l’impatto totale della produzione di una sedia fatta nel modo A piuttosto che B. E quindi, di fatto, prendere decisioni più sostenibili.
Nella pratica, il tipo di scenario dipende dalla domanda di studio. In questo momento stiamo facendo un’analisi per una catena di supermercati che si propone di quantificare il risparmio, in termini di emissioni, che deriverebbe da una minor produzione di rifiuti organici. In questo caso, per esempio, tra gli scenari di impatto ambientale ci sarà quello che prevede la discarica e quello che considera il riciclo.
Un altro studio di cui ci stiamo occupando riguarda il sistema di simbiosi industriale, ovvero la condivisione di servizi, risorse, prodotti tra aziende per aggiungere valore, ridurre i costi e migliorare l’ambiente. Il Comune che ha commissionato lo studio vuole sapere qual è il vantaggio, in termini di emissioni, di adottare un simile ecosistema industriale rispetto a un altro.
Quando parli di emissioni, a cosa ti riferisci?
Quando si produce qualcosa, non vengono emessi solo gas serra e diossido di carbonio, ma tanti altri tipi di contaminanti in acqua, aria e suolo, come, per esempio, i metalli pesanti prodotti dagli inceneritori.
Nei modelli che utilizziamo, i dati sui vari tipi di emissioni devono essere divisi in categorie e analizzati separatamente, perché il loro effetto può essere diverso: un certo prodotto o servizio può avere un basso impatto climatico ma essere tossico; viceversa un prodotto meno tossico può avere un maggiore effetto sul clima perché magari richiede più energia. Produrre energia, elettricità e calore ha un impatto altissimo. Così come il consumo di carne e latte.
Per decidere quale impatto è più importante, trovare un compromesso o capire come comparare i prodotti si fa un grande lavoro di ricerca. Esistono diversi metodi di analisi: si possono calcolare i costi economici di un certo impatto, fare sondaggi tra la popolazione, consultare gli esperti attraverso i focus group, usare modelli statistici. L’obiettivo è trovare una serie di pesi da usare universalmente per valutare impatti diversi.
Quanto c’è di soggettivo e oggettivo in queste analisi?
Ci sono diverse scuole di pensiero. Quando si valuta il ciclo di vita di un prodotto o servizio, alla fine si compila un documento con l’impatto ambientale e un sacco di scenari. In questa fase è il ricercatore ad avere il peso maggiore, perché tra infinite possibilià sceglie gli scenari più pertinenti al caso. Ogni suo processo decisionale per eliminare o conservare uno scenario, però, viene documentato e può essere discusso.
Quando arriva il momento di scegliere tra i vari scenari a diverso impatto, è qui che si inizia a discutere: c’è chi dice che è il ricercatore a dover decidere, chi il committente. Diciamo che di solito il ricercatore è solo un supporto alle decisioni altrui.
Secondo me ogni scelta è parzialmente soggettiva e, in fondo, in tutti gli studi di questo tipo c’è una sorta di errore, basato su criteri scientifici per il ricercatore, su criteri economici, ambientali, sociali per il committente.
Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Continuare a lavorare sui modelli, sia per quanto riguarda la valutazione di un certo impatto sia il come applicare un modello a una data situazione. L’idea è cercare di ridurre l’incertezza dei risultati per continuare ad aiutare la gente, committente, politico o stakeholder che sia, a prendere decisioni.
Al punto in cui siamo, la ricerca è fondamentale, perché non sempre abbiamo gli strumenti tecnologici giusti per fare alcuni tipi di valutazione.
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Crediti immagine: Massimo Pizzol