CRONACA – Una sensibilità sempre più elevata riguardo alla questione degli sprechi alimentari, sia da parte del singolo consumatore che della grande distribuzione, ma ancora troppi atteggiamenti pratici disattenti che impediscono di risolvere una volta per tutte l’annoso problema. Questo in breve è ciò che è emerso stamane presso l’X-perience Lab dell’Università Bocconi a Milano, che ha ospitato l’evento “Ridurre lo spreco alimentare: una ricetta per salvare il pianeta”nell’ambito dell’iniziativa WWF One Planet Food. In questa occasione è stato presentato il nuovo rapporto WWF sull’impatto ambientale degli sprechi alimentari in Italia, che fa il punto su quante risorse vengono sprecate ogni anno per produrre del cibo che poi non viene consumato.
L’evento ha visto il susseguirsi di due momenti: il primo in cui sono stati illustrati i risultati più significativi presenti nel dossier, attraverso l’esposizione dei nuovi dati sui comportamenti e sulle abitudini degli italiani e la descrizione di alcune iniziative speciali dedicate alla riduzione degli sprechi lungo la filiera; il secondo in cui è stata organizzata una tavola rotonda e che ha visto protagonisti i rappresentanti di alcune delle più grandi catene di distribuzione alimentare nel nostro paese.
L’agricoltura è il problema del pianeta
Un primo dato che emerge dal dossier è che il 70% del consumo idrico mondiale finisce ad irrigare i nostri campi, il 20% ad alimentare l’industria e solo un 10% è necessario all’uso domestico. Risulta evidente che è l’agricoltura a farla ancora da padrona nel computo degli sprechi alimentari, tanto che se confrontata con l’intero settore dei trasporti, essa rimane comunque l’attività umana che emette la maggior quantità di gas serra – circa il 30% del totale – contro al 13% prodotto dai trasporti. Il problema – sottolinea nel suo intervento Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità WWF Italia – è che nei prossimi 40 anni assisteremo ad un aumento della popolazione mondale pari a circa 3 miliardi di persone ed è necessario che cominciamo fin da subito a modificare le nostre diete per far sì che il costo ambientale della nostra alimentazione non distrugga totalmente l’intero ecosistema terrestre.
Un po’ di numeri
Ma quali sono le cifre della pressione ambientale che gli sprechi alimentari portano al nostro paese? Nel 2012, anno considerato nel dossier, in Italia sono stati utilizzati 1226 milioni di m^3 di acqua per produrre cibo che poi non è stato consumato, quantità d’acqua che
equivale a circa un decimo del fabbisogno annuo della popolazione africana. Riguardo invece alla produzione di gas serra – il secondo dei tre indicatori considerati nello studio, secondo le stime dei laboratori della Seconda Università di Napoli che ha collaborato alla stesura del dossier – nell’anno appena trascorso abbiamo assistito all’emissione di 24,3 milioni di tonnellate di CO2 , il 57% delle quali prodotte per la produzione di carne e il 31% per i cereali, sebbene in proporzione si consumi molta meno carne rispetto ai cereali. Secondo Simona Castaldi del Dipartimento di Scienze Ambientali dell’università partenopea, semplicemente attraverso una razionalizzazione dei trasporti si potrebbe arrivare a risparmiare fino a 17 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno. Infine, la produzione di azoto reattivo che viene prodotto durante la sintesi di alcuni fertilizzanti, si aggira ogni anno intorno ai 228 milioni di tonnellate.
Una social catena tra forze imprenditoriali
Sebbene la lingua inglese preveda un unico termine – waste – in italiano esiste una differenza importante tra “spreco” e “rifiuto” – sottolinea Andrea Segrè dell’Università di Bologna – e proprio da qui dobbiamo partire per le nostre considerazioni. Con la crisi – prosegue Segrè – saranno i rifiuti probabilmente a diminuire con il decrescere degli acquisti, non gli sprechi. Ogni anno infatti continuiamo a sprecare in media un terzo del cibo che produciamo, per un equivalente di 750 miliardi di dollari – conferma Michele Candotti, CEO dell’ United Nations Environment Programme (UNEP) – e la necessità di ridurre queste cifre sembra oggi quanto mai fondamentale. Per fare questo – prosegue Candotti – è necessaria una totale collaborazione anzitutto tra le forze imprenditoriali, che devono fare in modo che entro il 2015 il problema degli sprechi alimentari venga inserito tra gli “Obiettivi del millennio” fissati nel 2002. Ma anche se il negoziato appare molto complesso, il tema dello spreco alimentare sta in qualche modo mettendo d’accordo tutti, tanto che è stato da poco siglato il primo partenariato tra WWF e Expo2015, che per la prima volta vedrà un’associazione come il WWF occuparsi di biodiversità alimentare ed energetica all’interno di un grande evento come quello milanese.
L’attenzione verso gli sprechi però, sta partendo anche e prima di tutto dalle aziende che costituiscono la grande distribuzione, come emerge dagli interventi effettuati durante la tavola rotonda, dove l’espressione che maggiormente è rimbalzata tra le parole dei vari manager e direttori delle aziende presenti è stata “responsabilità condivisa” tra consumatore, istituzioni, università, amministrazioni e certamente grande distribuzione. Per fare questo – conclude Stefano Crippa, direttore dell’area comunicazione di Federdistribuzione – è necessario che le singole aziende convoglino i propri sforzi verso un piano comune di azione per ridurre gli sprechi alimentari, e un primo passo in questo senso è stato fatto di recente attraverso la produzione di un primo bilancio di sostenibilità di settore.
Una “social catena” dunque sembra oggi la strada più feconda da percorrere per riuscire già nei prossimi decenni a fare di più con meno.
Crediti immagine: NightThree, Wikimedia Commons