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Keystone Pipeline, Obama è al bivio

È ormai da qualche mese che negli Stati Uniti, tra ambientalisti e multinazionali del petrolio è battaglia aperta sul completamento del Keystone Pipeline, l’oleodotto che dovrebbe portare il petrolio estratto dalle sabbie bituminose del Canada fino alle raffinerie del Golfo del Messico.

Il rigassificatore di Trieste non è morto

AMBIENTE - Al di là dell’apparente fase di stallo del Governo italiano, si sta giocando in queste ore a Roma una partita importante per il nostro Paese e per la città di Trieste: il progetto del rigassificatore nel golfo di Trieste. I parlamentari dei gruppi politici SEL, M5S e PD hanno presentato alle massime autorità del governo un’interpellanza sul mancato uso della lingua italiana e slovena nella documentazione procedurale per l’impianto che dovrebbe sorgere a Trieste, precisamente nella zona di Zaule, al confine tra Italia e Slovenia.
AMBIENTESALUTE

Food Fight

“Poor diets kill more brothers than pistols” (Le diete scadenti uccidono più fratelli delle pistole). Con queste parole, il gruppo hip hop Earth Amplified, ha lanciato il suo ultimo video clip Food Fight, nel quale paragonano l’industria del cibo al mondo degli spacciatori di droga e delle bande armate.
AMBIENTEECONOMIAPOLITICA

Rigassificatore di Trieste: incognita sicurezza

AMBIENTE - È da due anni che a Trieste, appare e scompare, la notizia della costruzione di un rigassificatore onshore nella zona di Zaule, a una manciata di chilometri dal centro cittadino. Dopo una serie di false partenze, smentite e apparenti retro-front, da qualche settimana, l'impianto a mare, proposto dalla multinazionale spagnola Gas Natural Fenosa, attraverso la società Gas Natural Rigassificazione Italia, sembra più vicino alla sua realizzazione.

Calcolare l’incalcolabile

AMBIENTE - 4,5 miliardi di dollari di multa per circa 5 milioni di barili di petrolio dispersi in mare. Il più alto risarcimento nella storia degli Stati Uniti per il peggior disastro dell’industria petrolifera: l'esplosione della piattaforma BP Deepwater Horizon nel Golfo del Messico è una storia di tristi primati. Il dramma degli eventi accaduti a partire dal 20 aprile 2010 (qui un’ottima sintesi) non è affatto risolto, come era d’altronde prevedibile. In realtà di questo dramma la comunità scientifica (ma non solo essa) ha ancora molto da comprendere, nonostante sia stata prodotta, da due anni a questa parte, una quantità notevole di documenti relativi all’accaduto. Per necessità di sintesi mi limiterò a tracciare alcune evidenze relative agli impatti ambientali di questo disastro. Iniziamo con le certezze. Questo è uno tra i primi studi che inchiodano la BP quale responsabile della contaminazione del Golfo del Messico: un team di scienziati americani ha infatti usato gli idrocarburi policiclici aromatici come “impronte digitali” del grezzo fuoriuscito dal giacimento sottomarino detto Macondo per dimostrare che i composti tossici accumulati nello zooplancton pescato nel Golfo del Messico settentrionale sono effettivamente riconducibili all'incidente. A chi si stia chiedendo quali siano gli effetti diretti di tali contaminanti, nel limite dell’incertezza del caso, posso segnalare la ricerca che suggerisce come le comunità planctivore si siano dimostrate resilienti all’accaduto anche in relazione al fatto che gli effetti negativi diretti, dovuti all’esposizione al grezzo, sono stati compensati da una diminuzione della predazione.
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