Sono questi i costi dello spreco alimentare per l’ambiente. Il conto è stato fatto dalla FAO nel rapporto “Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources”, che analizza anche le conseguenze sul clima, sulle risorse idriche e sull’utilizzo del territorio.
Secondo lo studio, il 54% degli sprechi avviene durante le fasi di produzione e stoccaggio, mentre il 46% nelle fasi di trasformazione, distribuzione e consumo. A livello di consumo, gli sprechi sono maggiori nei Paesi ad alto e medio reddito, dove rappresentano, rispettivamente, il 39% e il 31% del totale. Questo perché, da un lato, i consumatori non riescono a pianificare i propri acquisti e spesso comprano più cibo del necessario; dall’altro commercianti e rivenditori tendono a buttare alimenti perfettamente commestibili solo per il fatto che non rispettano determinati standard estetici.
Ridurre lo spreco, però, è possibile. Diversi progetti, raccolti nel manuale della FAO “Toolkit: Reducing the Food Wastage Footprint”, mostrano come governi, agricoltori, aziende e consumatori possano adottare azioni e trovare soluzioni per diminuire gli sprechi e le perdite di cibo in ogni fase della catena, dal campo alla tavola