La cocaina dei faraoni
Un gruppo di ricerca ha ipotizzato che gli antichi egizi avessero già viaggiato verso le Americhe. A provarlo, alcune sostanze sospetta ritrovate nei tessuti delle mummie
Le teorie sui contatti transoceanici precolombiani ebbero una certa popolarità verso la fine del XX secolo. Nel 1992 si celebrò il 500° anniversario del primo viaggio di Cristoforo Colombo ai Caraibi. Nello stesso anno, a settembre, la rivista tedesca Naturwissenschaften pubblicò un articolo di un gruppo di ricercatori di tossicologia forense dell’Institut für Anthropologie und Humangenetik dell’Università di Monaco di Baviera, guidato da Svetlana Balabanova. La chimica e tossicologa tedesca affermò di aver trovato nicotina e tracce di cocaina e hashish in alcune mummie egiziane. La scoperta di sostanze “tipiche” dell’America meridionale su resti così antichi, lasciava supporre che gli egizi avessero già compiuto i viaggi transoceanici verso il Nuovo Mondo.
Le analisi descritte da Svetlana Balabanova riguardavano nove mummie egiziane, risalenti a un periodo di tempo compreso tra il 1070 a.C. e il 395 d.C. Nello specifico, i ricercatori eseguirono dapprima un test radioimmunologico: un raffinato metodo d’analisi del dosaggio di alcune sostanze, impiegato in ambito forense. Successivamente sottoposero i resti a una cromatografia/spettrometria di massa (GC/MS), per separare e individuare i composti presenti.
Balabanova e colleghi ebbero a disposizione sette teste mummificate (due di sesso femminile, cinque di sesso maschile), un corpo completo e uno parziale di due maschi. Vennero prelevati alcuni campioni di capelli, pelle, osso cranico, muscolatura addominale e facciale. I risultati furono inequivocabili: c’erano tracce significative di nicotina in otto mummie su nove, mentre la cocaina e il delta-9-tetraidrocannabinolo (il THC venne inspiegabilmente indicato nello studio come hashish) erano presenti in bassa concentrazione su tutti i tessuti. La pubblicazione di Balabanova e colleghi è molto sintetica e non si sofferma sulla storia biografica di quelle particolari mummie. Come prova bibliografica, venne citato un passo del Papiro di Ebers, risalente al 1550 a.C., in cui si fa un (dubbio) riferimento ai semi di papavero come rimedio per tranquillizzare i bambini. Nello studio, il collegamento tra la presenza di queste sostanze nelle mummie e l’ipotesi di un contatto transoceanico precolombiano non è esplicitato. Si tratta di un pensiero che Balabanova e alcuni colleghi portarono avanti per alcuni anni, con studi successivi, fino a raggiungere l’attenzione del grande pubblico. A consacrare l’immaginario di un Antico Egitto contraddistinto da cocaina e viaggi verso le Americhe ci pensò un documentario del 1997, trasmesso su Discovery Channel, intitolato The Curse of the Cocaine Mummies.
Lo studio di Svetlana Balabanova non passò inosservato, soprattutto nella comunità scientifica.
Da subito ci furono critiche puntuali che smontarono del tutto la teoria secondo cui gli egizi usavano cocaina, cannabis e nicotina, sostanze che loro stessi importavano dall’America via mare. Il ritrovamento di THC non è sorprendente. Benché l’utilizzo e la diffusione della pianta di canapa nell’Antico Egitto siano ancora oggetto d’indagine, il THC era già stato individuato nel 1985 sulla mummia di Ramses II, uno dei più noti e gloriosi faraoni. Ciò che stupì, è la presenza di tracce di THC su tutti i frammenti analizzati da Balabanova e colleghi. Più curiosa è l’abbondante presenza di nicotina, composto che viene associato spesso al tabacco, le foglie delle piante del genere Nicotiana. È uno degli elementi che fanno sospettare una diffusione delle specie americane della pianta ben prima delle spedizioni colombiane. La presenza della cocaina appariva ancora più misteriosa. Le piante di coca, infatti, erano diffuse esclusivamente nell’America meridionale. Balabanova rafforzò la propria ipotesi anche grazie all’interpretazione di segnalazioni analoghe, pubblicate in passato. Per esempio, in uno scritto, molto breve e apparso nel 1979 sull’Anthropological Journal of Canada, si sostiene che è alquanto comune trovare tracce di tabacco sulle mummie egiziane.
Le critiche della comunità scientifica
Nel numero immediatamente successivo di Naturwissenschaften furono pubblicate alcune aspre critiche allo studio. Le contro-ipotesi vertevano quasi tutte sugli stessi, evidenti, argomenti. La ricerca era stata eseguita con grande incuria metodologica, non veniva discusso in alcun modo il sorprendente risultato, non si forniva nemmeno una congettura sul perché fossero presenti sostanze “aliene” per l’epoca. Per secoli e secoli, le mummie erano state conservate con grande trascuratezza: la contaminazione esterna apparse fin da subito come l’ipotesi più plausibile. Inoltre, c’era una forte possibilità che le mummie fossero state sottoposte a uno o più trattamenti con prodotti contenenti nicotina. A ciò si aggiunge un errore, già ricordato, tanto evidente quanto simbolico. È imperdonabile, per un chimico, identificare e descrivere il THC (il noto principio attivo della pianta di cannabis) con il nome di hashish (una sostanza stupefacente lavorata a partire dalla infiorescenze e dalla resina di cannabis).
Nuovi studi della Balabanova
Svetlana Balabanova e colleghi non si arresero, e anno dopo anno pubblicarono nuovi studi su sepolture sparse in vari continenti. Trovarono droghe pressoché ovunque. Nel 1993 analizzarono 72 mummie peruviane, 11 mummie egizie, due scheletri sudanesi, le ossa di 10 individui europei vissuti 4000 anni fa. La nicotina era presente quasi su ogni reperto. La cocaina e l’hashish (di nuovo n.d.a.) erano presenti sui campioni egiziani e peruviani. Nello stesso anno, Balabanova suggerì come la presenza, nell’antichità del bacino mediterraneo, di specie americane di tabacco fosse più che probabile.
Balabanova, infatti, affermò che già nel 1931 erano stati rinvenuti “coleotteri del tabacco” nella tomba di Tutankhamon; e nel 1985 nella sepoltura di Ramses II. Si trattava del Lasioderma serricone L. – l’anomio del tabacco – un coleottero già noto in antichità nell’area mediterranea. Gli studi del gruppo di ricerca capitanato da Svetlana Balabanova proseguirono fino alla fine del millennio, e ribadirono in molteplici occasioni una serie di ritrovamenti fuori dalla norma, da un punto di vista etnobotanico. Le pubblicazioni fornirono gradualmente gli elementi per costruire un immaginario in cui i viaggi e gli scambi globali avvenivano con tempi e dinamiche fino ad allora sconosciute.
«Fare analisi su pezzi di mummie, chiusi in un laboratorio, forse deve essere molto deprimente… e così, una sniffatina o una fumatina possono aiutare».
Edda Bresciani, direttrice dell’Istituto di scienze storiche del mondo antico dell’Università di Pisa, intervistata da Arnaldo D’Amico il 12 settembre 1992. La Repubblica.
Contaminazione esterna?
Nel 2001, una pubblicazione curata dall’archeologo Paul Buckland e dalla paleoecologista Eva Panagiotakopulu, chiarì molte delle scoperte anomale degli anni precedenti. I due studiosi presero in esame il caso di Ramses II e del coleottero del tabacco anche per ricordare come la conservazione dei resti di mummie, in generale, secolo dopo secolo, fosse avvenuta con scarsissima cura. I campioni avevano viaggiato, avevano cambiato proprietario, potevano essere stati a contatto con qualsiasi cosa in qualsiasi situazione. La mummia di Ramses II, in particolare, era stata spostata in varie tombe prima di essere esumata a fine XIX secolo. Da allora viaggiò in più luoghi, fino a giungere a Parigi nel 1975. Infine fu restituita all’Egitto e trovò posto al Museo Nazionale de Il Cairo. Le occasioni di contaminazione esterna sono state innumerevoli. Buckland e Panagiotakopulu hanno ricordato anche come, fino a pochi anni prima, non si prestava molta attenzione alla “storia” della mummia post-esumazione. Spesso si trattava di percorsi secolari, sfuggenti e di difficile ricostruzione.
Per quanto riguarda i ritrovamenti di Balabanova e del suo team – così come tante altre analisi che hanno fatto emergere sostanze inusuali sul corpo delle mummie – è noto che il tabacco fosse utilizzato come insetticida a partire dal 1700. Una mummia rinvenuta negli anni ‘20 del XIX secolo, per esempio, era stata trattata con una soluzione di acqua e tabacco. Le analisi su di essa, compiute nel 1995, hanno mostrato che la nicotina era penetrata nei tessuti, in quantità pressoché identiche a quelle delle tante mummie prese in esame da Balabanova. Diversa, divertente e molto plausibile è, invece, la spiegazione per la presenza di cocaina. Possiamo immaginare i membri squadra di ricerca archeologica del passato, che dopo un lungo viaggio scoprono la mummia di un faraone e decidono di darsi alla pazza gioia. Oppure fantastichiamo su un sofisticato antiquario che conserva i resti di una mummia nello stesso studio viennese in cui è solito consumare cocaina. Le possibilità sono moltissime. Nessuna, però, confermerà l’ipotesi di un commercio transoceanico di foglie di coca da parte degli antichi egizi.
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